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scheda di Cresto-Dina, P., L'Indice 1992, n. 9
Pubblicato nel 1935, il saggio di Monk costituisce ancora oggi la più completa ricostruzione della storia del "sublime" nella cultura inglese del Settecento. Mutuando da Lovejoy il metodo della "history of ideas", l'autore segue via via le tappe di un itinerario che dal classicismo secentesco conduce fino alle soglie del romanticismo. Tesi dichiarata fin dalle prime battute è quella che assume il sublime kantiano quale "meta inconscia", punto d'arrivo di tutti gli sforzi teorici prodotti nel corso del secolo. La lunga incubazione dell'idea esprime, a giudizio dell'autore, il graduale venire in primo piano di un'estetica per la quale il termine "sublime" non definisce più una qualità dell'oggetto, ma una determinata esperienza soggettiva. In secondo luogo, sebbene fosse risorto con Boileau all'interno di un codice di tipo classicistico, il concetto di "sublime" finisce per riassumere in modo sempre più evidente nel corso del XVII secolo quella molteplicità di motivi che il classicismo stesso aveva trascurato e che verranno in seguito assorbiti nell'ambito dell'estetica romantica. Le due linee di sviluppo - quella che conduce a Kant e quella destinata a sfociare nel romanticismo - non devono essere considerate nel loro isolamento. Kant rappresenta per Monk la coscienza filosofica del romanticismo, così come Wordsworth illustra "nei suoi grandi versi" quella concezione idealistica del sublime perfezionata nella terza critica kantiana. Se è doveroso sottolineate con Giuseppe Sertoli i limiti di una "concezione continuistica e progressista della storia delle idee" è a maggior ragione opportuno insistere sulla vastità dell'informazione storico letteraria e sulla eterogeneità del materiale esaminato, che spazia dal campo della filosofia a quello della critica d'arte, dalla poesia alla retorica, dal genere dell'epistolario al resoconto di viaggio.
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