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Vincitore del Premio Alessandro Leogrande
La prospettiva da cui Ramazzotti racconta la vicenda è in tutti i sensi unica: da una parte per la sua posizione irripetibile di narratore-testimone, dall'altra per il suo sguardo delicato, rispettoso e capace di mettersi continuamente in gioco.
«Il viaggio di Pietro D'Amico raccontato ora da chi quel giorno stava lì con lui» - Caterina Pasolini, Il Venerdì
Le sue ultime parole le ha dette a me: in pratica, a un estraneo. Furono cinque, o meglio quattro, perché una era il mio nome. Disse: «Ti scorderai di me».
Se ne è andato lasciandomi, insieme a quelle parole, il peso di un'eredità che mi accompagnerà per sempre: «Non importa come mi chiamo» disse, «ma fa' che non mi dimentichino, promettimelo, giuramelo su quanto hai di più caro».
Durante il suo lavoro di fotografo e reporter, Sergio si imbatte in un'occasione inaspettata e spiazzante: accompagnare in Svizzera una persona che sta andando a morire. L'uomo, affetto da una grave malattia neurodegenerativa, ha deciso di ricorrere al suicidio assistito e, dopo una lunga trafila medica e burocratica, ha finalmente ottenuto la "luce verde", il permesso di morire. Vuole che Sergio racconti la sua storia, quella di chi è "costretto a umiliarsi, viaggiando lontano da casa come una specie di clandestino, per poter esercitare fino alle estreme conseguenze il proprio sacrosanto diritto al libero arbitrio, che nel nostro paese ci viene negato". Ma non vuole avere un nome né un volto, nessuno deve poterlo riconoscere. Di fatto, per Sergio significherebbe trascorrere con lui le sue ultime quarantotto ore sulla Terra. Sergio accetta. Questa è la storia vera di quelle quarantotto ore e dei millequattrocento chilometri che i due uomini hanno percorso insieme: dal momento in cui si sono stretti la mano fuori da un aeroporto del Sud Italia fino a quello in cui l'uomo gli ha rivolto le sue ultime parole sulla poltrona di un monolocale di Basilea. È questa la "clinica svizzera" in cui Erika da otto anni accompagna i pazienti al suicidio, dopo essersi scambiata decine di lettere con ognuno di loro e averli incontrati e visitati per concedere loro la "luce verde". Con scrittura elegante e densa, Ramazzotti riesce, in questa storia vera che a tratti pare sconfinare nel romanzo, ad accendere in noi un rovello di riflessioni e domande di portata universale, un duello etico interiore, e mette in moto un'altalena di emozioni contrastanti che culminano con la sorpresa per il dénouement finale: un nome, un cognome e uno spaventoso segreto che sono un vero e proprio colpo di scena, una scoperta capace di rimettere in discussione tutte le certezze che avevamo accumulato fino a quel momento.
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Lo consiglio
Difficile recensire un libro che non è un romanzo ma un reportage di un suicidio assistito, della volontà di cercare con forza l'addio al mondo ed è ancora più sconvolgente l'epilogo finale. Lascia basiti e non si riesce ad esprimere un giudizio se non il rispetto della volontà dell'uomo, che a leggere questo reportage viene scandagliata per avere la ragionevole certezza della profonda convinzione di ricorrere al suicidio assistito.
Recensioni
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Ci ho messo cinque minuti a scegliere questa storia e cinque anni per trovare la forza di scriverla, e in tutto questo tempo mi sono chiesto perché, all’epoca, fu proprio questa la storia che decisi di raccontare. Non sono certo di essermi risposto fino in fondo.
Il viaggiare ha diverse sfumature e in questo romanzo ne troviamo due: una, quella del viaggio che va da un punto A (Napoli) a un punto B (Basilea). L’altra, quella del viaggio che va da un punto A (la vita) a un punto infinito (l’eternità post mortem).
Sergio Ramazzotti, reporter, fotografo e scrittore, ci racconta questo percorso, dalla sua partenza alla soglia dell’eternità. Non c’è nulla di metafisico, di fantastico o irreale nel romanzo. Tutto rientra nella dimensione umana, tragica, dannatamente reale di qualcosa che metta fine a una sofferenza senza soluzione o, meglio, che abbia come unica soluzione possibile quella del suicidio.
Con i colleghi della mia agenzia di fotogiornalismo avevamo stabilito di affrontare il tema del diritto alla salute, a partire dall’articolo 25 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, secondo il quale “ogni individuo ha il diritto a un tenore di vita adeguato a garantire la salute e il benessere proprio e della sua famiglia, incluse (…) le cure mediche, e il diritto alla sicurezza in caso di (…) malattia, invalidità, vedovanza, vecchiaia e in ogni altro caso di perdita dei mezzi di sussistenza per circostanze indipendenti dalla sua volontà”.
In redazione vengono individuati 16 casi emblematici, in diversi paesi, di chi si mette in viaggio per la salute. Tra questi ci sono coloro che si recano in Svizzera per ottenere il suicidio assistito, la cosiddetta luce verde che ottiene solo un quinto degli oltre mille individui che ne fanno richiesta ogni anno.
Sergio Ramazzotti alterna al racconto di questo particolare viaggio, scandito in ore e minuti verso il countdown finale, frammenti della sua esperienza come reporter in cerca di chi sta soffrendo o morendo e questo raccontare diventa occasione di riflessione sulla morte, vista anche nella sua negazione o nella sua esaltazione. Può piacere o meno e questa è una opinione soggettiva. Si può anche nascondere la testa sotto la sabbia, e pure questa è una scelta soggettiva. Quello che è certo è che non è un romanzo da leggere se non si vuole riflettere sulla sofferenza, sulla morte. E neppure se si vuole soddisfare una ricerca di morbosità.
È un romanzo scomodo, duro, che non ha un lieto fine. O che, all’opposto, il lieto fine ce l’ha.
Dipende dai punti di vista.
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