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La riflessione di Schütz si sofferma sul concetto di estraneità e conformità nella vita collettiva in questi due lavori del 1944-45, che oggi assumono un rilievo particolare, in quanto si occupano delle figure dello straniero e del reduce, cioè di chi non appartenendo a una specifica comunità cerca di avvicinarla e introdurcisi, e di chi essendosene allontanato vuole o deve rientrarci. Con parole empatiche e di straordinaria sensibilità, che lasciano trapelare quanto lo stesso Schütz avesse sofferto sulla sua pelle l’abbandono dell’Europa e il trasferimento negli Stati Uniti, la figura dello straniero viene indagata nel rapporto vicendevole instaurato con l’ambiente di accoglienza. Lo straniero trova difficoltà nell’interpretare il modello culturale del gruppo sociale cui si avvicina, teme di non comprenderlo e di non esserne compreso poiché la sua storia personale (lingua, studi, affetti, educazione, gestualità, abitudini) non sono quelli della comunità che deve accoglierlo. Può forse aspirare a condividere, con grande sforzo e buona volontà, presente e futuro con il gruppo cui si è avvicinato, ma rimarrà escluso dalle esperienze che riguardano il passato suo e degli altri, mai spartibile. Icasticamente Schütz afferma: “Tombe e ricordi non possono venire né trasferiti né conquistati”. Sarà destinato a rimanere un ibrido culturale, a rivestire un ruolo marginale, soffrendo di un costante disorientamento che lo renderà diffidente e insieme infido, in una distanza che mai potrà sfociare nell’intimità. La stessa cosa vale per chi, allontanatosi dal suo luogo d’origine, tornandovi non la troverà più come la ricordava, avendo interrotto una comunanza di spazio e tempo con il gruppo primario cui apparteneva, e avendo sperimentato altre dimensioni sociali, altri posti e valori.
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