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Esistono ancora nella storiografia italiana filoni di ricerca largamente trascurati. O colpevolmente sottovalutati. È il caso della storia della viabilità, ambito di studi che, nonostante le notevoli fortune in campo internazionale, stenta a suscitare in Italia il dovuto interesse scientifico. Più che meritevole appare dunque questo contributo sul caso torinese. Il quadro cronologico è di lungo periodo e abbraccia circa tre secoli, a partire dal Settecento fino al secondo dopoguerra, con un approfondimento notevole del periodo compreso tra il 1861 e il 1928, anno della costituzione dell'Azienda autonoma statale della strada. La scelta della prospettiva istituzionale si rivela particolarmente efficace, nella misura in cui consente di cogliere il carattere "devolutivo" della politica delle strade in Italia. Fin dal 1865 comuni e province vengono infatti individuati come strumenti locali del processo del nation building e come protagonisti - in positivo e in negativo - dello sviluppo della rete viaria. Tra il periodo giolittiano e gli anni venti, gli enti provinciali giungono a sfiorare l'obiettivo del controllo di tutta la viabilità nazionale, proponendosi come unico gestore delle strade in Italia. Anche dopo la svolta centralizzatrice fascista, nel 1928, le province parteciperanno direttamente al processo di miglioramento e ampliamento della rete stradale. Fino al secondo dopoguerra, momento decisivo del "sorpasso" della strada sulla ferrovia: nel 1955 viene approvata la prima legge sulle autostrade, nel 1961 viene votato il secondo piano autostradale. Una febbre che indubbiamente accompagna il boom economico, ma nelle cui contraddizioni si nascondono le premesse dei problemi che tuttora angustiano il sistema dei trasporti italiano.
Francesco Cassata
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