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DURRELL, LAWRENCE, Riflessi di una Venere Marina, Giunti
DURRELL, LAWRENCE, La grotta di Prospero
BYRON, ROBERT, La via per l'Oxiana
BYRON, ROBERT, La strada per l'Oxiana
BYRON, ROBERT, Gente di pianura, dèi della montagna
recensione di Boatto, A., L'Indice 1994, n. 3
Al di là dell'appartenenza alla stessa patria e generazione, che cosa possono avere in comune un Lawrence Durrell e un Robert Byron? Il primo resta uno dei maggiori romanzieri inglesi del secolo; il secondo, un erudito e un esteta nella tradizione molto londinese di Walter Pater. Durrell vive più del doppio del secondo e alla sua morte, nel 1990, lascia, fra "quartetti di Alessandria" e "quintetti di Avignone", un variegato, dispendioso e manieristico universo narrativo. Byron scompare nel 1941, a soli trentasei anni, nel naufragio della nave su cui è imbarcato, colpita da un sottomarino tedesco, lasciando un paio di volumi sulla civiltà bizantina e islamica e due libri di viaggio. Poche cose dunque avrebbero da spartire veramente, se non intervenissero, a ricollegarli, una dose assai spiccata di eccentricità e un forte - ma di segno opposto - amore per il viaggio. Nella categoria molto speciale del viaggiatore britannico, Byron e Durrell impersonano due diversi e largamente rappresentativi modelli di viaggiatore. A determinare simile categoria giocano un importante ruolo la realtà insulare dell'Inghilterra e la reazione, l'atteggiamento assunto nel suoi confronti da ciascun viaggiatore. E gli anni trenta, durante i quali Byron inscrive l'intera gamma delle sue peregrinazioni mentre Durrell è arrivato a concludere appena la sua prima tranche, si sono dimostrati anni favorevoli a chiarire per grandi linee la figura del viaggiatore. È il decennio in cui, di fronte alla sensazione che si fa via via certezza della fine dei viaggi, si moltiplicano, per contro, un po' dovunque gli "ultimi viaggiatori".
Byron rappresenta il viaggiatore inglese che, per allontanarsi dalla condizione insulare della propria terra, ama inoltrarsi nei continenti, in paesi lontani dal mare. Dopo la Russia, visita il Tibet, per affrontare infine un lungo percorso fatto di migliaia di chilometri, da Venezia attraverso il Medio Oriente fino all'Oxiana, una regione semideserta e favolosa dell'Asia centrale, posta fra l'Afghanistan e l'altopiano iranico. Il viaggio di Byron è guidato dalla curiosità e dall'erudizione e risulta intessuto di conoscenze e di riscontri culturali. Byron, esteta e puntiglioso conoscitore delle culture orientali, al pari dei giovani studiosi che nei medesimi anni stanno fondando la "nuova antropologia", si propone di verificare direttamente sul terreno, in Russia e in remote contrade dell'Asia, le vaste cognizioni che possiede sull'arte bizantina e sull'architettura e la decorazione islamica.
Durrell, al contrario, è il viaggiatore che, per insofferenza nei confronti della patria inglese, tende a contrapporre all'isola che ha respinto una diversa isola di elezione. Nel giro di diciassette anni, interrotti da drammatiche, lunghe e produttive deviazioni, sosterà in tre grandi isole del Mediterraneo, prima Corfù, poi Rodi e infine Cipro. Rispetto a Byron, Durrell si configura piuttosto come un fuoruscito volontario. I motivi che lo hanno persuaso alla partenza arrivano a coinvolgere l'intera sua persona, toccando i più segreti strati esistenziali: il desiderio di inventarsi "altrove" una nuova possibilità di vita, la volontà di essere altro dagli stereotipi che impone l'isola abbandonata. Spirito di penetrazione continentale opposto a spirito insulare, di cui Durrell è autore di una scintillante e ben argomentata teoria, ecco due differenti modi di concepire il viaggio. Nel primo, in Byron, ciò che conta è l'itinerario spaziale, gli ostacoli materiali vinti, assieme alla viva esperienza di visitare antichi monasteri ortodossi, moschee e minareti selgiuchidi, mausolei persiani. Nel secondo, in Durrell, ciò che resta centrale è una complessa esperienza, fatta assieme di cancellazione, di oblio e di radicamento positivo; e l'itinerario che si apre a questo tipo di viaggiatore avviene all'interno del luogo prescelto a propria dimora. Per Durrell è l'isola mediterranea, il circoscritto spazio di terra greca chiusa e separata dal mare. E non importa poi se questo tentativo va ogni volta incontro a un fallimento: la Storia, a cui Durrell si è sforzato per tutta la vita di sottrarsi, pur accettandone sempre i doveri che gli ha imposto, irrompendo sotto forma di seconda guerra mondiale e di emancipazione coloniale, lo costringerà a un seguito di fughe, di abbandoni e di rinnovati tentativi.
Se dovessi segnalare, tra i tanti possibili, il tratto sintomatico del viaggiatore Byron, sceglierei l'indicazione della distanza superata, espressa in numero di chilometri, fra una tappa e l'altra, fra l'ultima località lasciata alle spalle e la nuova dove è giunto. Queste cifre lineari precedono ogni annotazione diaristica nei momenti centrali del percorso. In Durrell si assiste meno a un tratto significativo che si ripete nella dimensione dello spazio e più a un tratto unico che si dispiega nella durata del tempo. Si tratta del reperimento e della costruzione della nuova casa, riparo e dimora, ombelico fondante. Sarà il punto da cui procede la scoperta del mondo circostante, gli olivi e le viti, i greggi e gli orti, la luce particolare di ciascun giorno e di ogni stagione, gli abitanti soprattutto; una scoperta simile a un arioso movimento di espansione circolare. La casa è già centrale nel soggiorno a Corfù e in quello più tardo e molto più tempestoso e "amaro" di Cipro Durrell orchestra una vigorosa e allegra sinfonia epica attorno all'opera di ristrutturazione di una vecchia casa paesana.
Entrambi esteti e pure snob più del dovuto, com'era ben prevedibile. Byron identifica l'estetica con l'apprezzamento amatoriale dell'opera d'arte e non soltanto col puro riconoscimento scientifico. Per Durrell l'estetica esige l'invenzione globale di uno stile di vita. Un viaggiatore come Byron ritorna sempre al punto di partenza, la patria inglese; mentre un viaggiatore della razza di Durrell cancella tutti i segni della partenza e non ritorna più indietro. So troppo bene che non è solo questione di due viaggiatori nello spazio e nel tempo, ma di due viaggiatori nella pagina, all'interno del continente o dell'arcipelago disegnato dalla scrittura; non solo di 'travellers' ma di 'travel writers' o, più semplicemente, di scrittori che viaggiano. Il possesso e la duplicazione della realtà non avvengono mediante lo scatto fotografico e l'acquisto di discutibili souvenir, ma passano attraverso la parola scritta. Per un viaggiatore come Byron, legato all'itinerario spaziale, scandito in chilometri e coronato dalla sorpresa della scoperta, una sola rimane la misura favorevole ed esatta. È la notazione giorno dopo giorno, il diario, il giornale di bordo, con inserti eruditi e di una stesura quantitativamente anche molto ampia; ciò che presuppone l'impiego di numerosi libri e la necessaria rielaborazione dell'intero testo. Dopo i notevoli capitoli contenuti in "Gente di pianura, dèi della montagna", il resoconto del viaggio in Russia e nel Tibet, la forma diaristica è quanto mette in pratica ne "La via per l'Oxiana", il suo ultimo libro di viaggio e il suo capolavoro. È la giusta opinione di Bruce Chatwin, che è stato al tempo medesimo il diretto seguace di Byron sulle strade del mondo e il suo intelligente "scopritore". Per Durrell, per questo viaggiatore impegnato nella 'quˆte' di se stesso e di una vita "altra", intravista sulle spiagge del Mediterraneo, la soluzione formale è più vicina a una partitura musicale svolta nel tempo e intessuta di presente e di memoria, di cronaca quotidiana e di spezzoni mitologici; una mescolanza di disparati generi letterari, dove il diario vi trova certo la sua parte, ma in una misura non affatto esclusiva. Un'emancipazione e un esperimento riusciti che incontreranno uno svolgimento pieno e romanzesco, prima nel celebre "Quartetto di Alessandria" e molto più tardi nel "Quintetto di Avignone", un'opera quasi ignota e che rimane ancor oggi tutta da scoprire. Byron, scomparso ormai da alcuni decenni e, con lui, ogni suo libro, dovrà attendere di essere riscoperto, non dalla distrazione, ma dal silenzio e dal segreto che si celano pure nei nostri anni.
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