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A prima vista, questo volume di Del Treppo si presenta come una sorta di complemento minore a una precedente raccolta di saggi di metodologia e storiografia dello stesso autore (La libertà della memoria, Viella, 2006). Si tratta però di un'impressione che, man mano che si avanza nella lettura, cede il passo a una più ampia considerazione. Infatti, per quanto riunisca saggi composti in occasioni assai disparate, il libro possiede un'unità di fondo, che non dipende soltanto dall'omogeneità tematica che pure i diversi interventi indubbiamente possiedono (la storiografia meridionale), ma che va riportata a un più forte spessore problematico che li attraversa. Per riassumere lapidariamente questo nocciolo duro, possiamo dire che l'intera raccolta va intesa come una serrata e sofferta riflessione sulla irrisolta, e forse irrisolvibile, tensione tra grande storia e ricerca erudita. La sintesi storica non solo si risolve in una narrazione compiuta in grado di restituire il senso del passato, ma è animata da una forte componente etico-politica che la proietta verso il presente. Tuttavia, questo lavoro storiografico alto non può aspirare a una reale capacità conoscitiva se non si alimenta con una paziente ricerca documentaria, in grado di mettere a frutto fonti e tecniche conoscitive disparate. Tale dicotomia euristica traspare con particolare evidenza nel lungo saggio su Bartolommeo Papasso (1815-1900) che occupa più della metà del volume. Del Treppo non si limita a tracciare con grande finezza la personalità intellettuale e morale di Capasso, ma mostra che le ricerche dello studioso napoletano, capaci di combinare fruttuosamente diplomatica e toponomastica, cartografia e cronologia, non sono riconducibili alla pura erudizione, ma avvicinano il suo lavoro a quell'ideale di una storia totale, che, molti decenni dopo, sarà al centro del dibattito storiografico.
Maurizio Griffo
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