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Luigi Ananìa è un autore che scrive libri pericolosi. Che cosa si vede, se ci si sporge «dal cornicione dell’assurdo»? Più che vedere, si percepisce il vuoto che contiene tutte le storie e forse tutta la Storia. Lo scrittore sa la presenza del non senso, fissa lo sguardo nel vuoto e prova a mettere a fuoco se non vi sia qualcosa o qualcuno che quel non senso possa rovesciare. In questo libro, nato dalla collaborazione con Nicola Boccianti, l’io narrante desidera il permanente al di là della vetrofania di impermanenze.
Ma il mondo vortica in un caleidoscopio di volti, posture, parole che si scompongono, sovrappongono, riuniscono, tendendo a una fusione che traccia un orizzonte degli eventi minaccioso. Come un acrobata, il narratore avanza addomesticando la paura attraverso la malìa e lo stupore. Nel mentre, si fa antropologo, psicografo (registra il soma per ricavarne lo psichico), rabdomante dei palpiti di umanità: si vede che è avido di senso e di amore, ne va ostinatamente alla ricerca; racconta di peregrinazioni nevrotiche, vagabondaggi, strade cercate e strade smarrite.
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