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recensione di Chiarloni, A., L'Indice 1992, n. 3
Curate e tradotte in modo magistrale da Maria Teresa Mandalari sono ora disponibili per il lettore italiano le "Novelle intorno a Claudia" (1912), primo successo di critica e di pubblico dello scrittore Arnold Zweig. Nato nel 1887 in Slesia da una famiglia della piccola borghesia, ebraica, Zweig affrontò il problema dell'antisemitismo nella tragedia "Assassinio rituale in Unghena" (1914). L'esperienza traumatica della guerra condizion• sostanzialmente tutta la narrativa successiva, destinata a formare un ampio ciclo epico di orientamento socialista intitolato "La grande guerra degli uomini bianchi", al quale appartiene anche quel capolavoro narrativo che è "La questione del tenente Grischa" (1927; trad. it. Mondadori, 1937), in cui Zweig denuncia l'alleanza tra il militarismo prussiano, l'alta finanza e il mondo dell'industria. Definito da Mittner come il più grande narratore socialista del Novecento tedesco, Zweig fu pure autore, in esilio, del romanzo "La scure di Wandsbeck", straordinaria descrizione della Germania nei primi anni del nazismo, pubblicata nel 1943 in ebraico e nel 1947 in tedesco. Rientrato in Germania nel 1948, lo scrittore morì, vent'anni dopo, a Berlino est.
Le sette novelle dedicate a Claudia-una figura in cui la critica ha intravisto la moglie di Zweig, Beatrice-sono ideologicamente ben lontane dalle posizioni espresse successivamente: posizioni d'impianto marxista che gli valsero ampi riconoscimenti nella Ddr del dopoguerra, come ricorda la Mandalari nella sua introduzione. Questa è invece un'opera giovanile, nata nel primo decennio del Novecento a Monaco, dove Zweig si era trasferito. Una città -ci vivevano anche i fratelli Mann- che con Vienna costituisce il cenacolo di quella bohème letteraria in cui s'intersecano la psicoanalisi e lo Jugendstil, il decadentismo e quel complesso di correnti eterogenee di solito etichettate col nome di neoromanticismo. Sarà dunque interessante andare a vedere come il giovane Zweig da una parte rifletta l'atmosfera culturale dell'epoca, dall'altra se ne distacchi, anticipando situazioni che sono proprie dell'opera successiva.
La trama è quasi inesistente. Fanciulla ricca e raffinata, Claudia è al centro dei pensieri di Rohme, un filosofo impacciato ma onesto che ben presto riesce a conquistarla. Da una novella all'altra, dai primi approcci fino all'affermarsi di una profonda intesa di coppia, l'autore varia il gioco prospettico dei due protagonisti mettendo in scena un vero e proprio contrappunto del sentimento amoroso. Narratore di razza, Zweig utilizza con grande finezza la forma del "discorso vissuto" cara a Fontane, calandosi nelle pieghe più intime dell'animo umano. Siamo nel primo Novecento e l'arte della vibrazione psicologica si alimenta-è noto-del freudismo di quegli anni, basti pensare a Schnitzler e alle sue penetranti analisi della "fragilità" femminile. Anche Zweig opera nello stesso humus di fondo-ci si potrebbe addirittura chiedere se il numero sette che governa la suddivisione del romanzo non sia un omaggio all'"Anatol" di Schnitzler, ripartito appunto in sette scene-ma qui non c'è nevrosi, n‚ isterismo: sia Claudia che Rohme non solo sono esseri sani e schietti ma soprattutto sembrano negare la frattura, ricorrente nella letteratura del tempo, tra eros e società borghese. Qui infatti, tra pizzi e velluti, lini e argenti, i due protagonisti mirano ad una profonda compenetrazione coniugale. E alla fine, in una sorta di crescendo musicale, intessuto di fluttuanti stilemi "Jugend", la ottengono-a differenza di tante coppie del decadentismo, condannate inevitabilmente a distruggersi-saldandosi in quella "carezza totale" che sigilla le ultime pagine.
Va da sé che Claudia non è una Salomè, tutt'altro. Il gioco dei ruoli sessuali è anzi articolato-con arguzia -secondo manuale. Nella prima novella c'è un passo programmatico. Dice lui: "In fondo, è l'uomo colui che genera, il fecondo...". "E la donna?"-chiede lei. "Riceve, trasforma e restituisce, non è vero?, partorisce. L'uomo invece produce. Possiede la forza della visione sintetica, crea con la novità della sua visione...". L'arguzia sta nel fatto che è Claudia a manovrare in realtà il gioco dell'amore, truccando divertita la propria intelligenza con qualche tocco di "irragionevolezza femminea", del genere che vellica l'uomo, visto che a lui la donna piace così, miagolante, civettuola, tutta "smorfiette, sguardi e capricci".
"Tutti i nostri ieri" intitola Ladislao Mittner uno dei suoi capitoli sul primo Novecento. L'oggi infatti inizia per certi versi-si pensi all'emancipazione femminile-con la Grande Guerra. Non a caso lo stesso Zweig individuerà successivamente nel 1914 l'anno discrimine: nella "Giovane donna del 1914", un romanzo del 1931 tutto centrato sulla Storia, la protagonista ha tratti ben diversi, se si vuole più moderni, rispetto a Claudia. Nelle "Novelle" invece i problemi sociali sono ancora assenti e la dimensione del tempo è scandita dal lieve trascorrere delle stagioni. Di lavoro non si parla mai e quasi tutto si svolge tra cortine domestiche, negli interni privilegiati dallo Jugendstil: il salotto, l'alcova e soprattutto la sala da musica. È qui che nell'ultima novella, nel contrappunto di una sonata di Schubert l'anima innamorata "smuore e si effonde nell'altro". D'altra parte la thomasmanniana lacerazione tra arte e vita è ormai estranea ai due protagonisti e difatti affiora solo come citazione casuale, nell'atmosfera infatuata dell'atelier di Klaus Manth. In questo piccolo capolavoro di finezza psicologica tutto regge proprio grazie alla vitalità di fondo che nello scatto narrativo del finale determina, in ambito privato, quella volontà d'interazione tra individui che sarà cifra portante della narrativa di Zweig.
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