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Anno edizione: 2020
Anno edizione: 2020
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L'autobiografia di Gianni Minà attraverso i suoi incontri con i personaggi che ha intervistato, ma partendo dai suoi ricordi d'infanzia a Torino sul finire della guerra e dopo. Un giornalista che riconosceva sempre l'umanità di chi incontrava, e che ha sempre conservato lo stupore di fronte ai fatti del mondo e alle persone che, come lui stesso dice, rende vitale il suo lavoro. Che bravo!
Incontri con persone che hanno fatto la storia della cultura e dello sport nel mondo a partire dalla seconda metà del 900 raccontati con il cuore da un giornalista come non ce ne sono molti, appassionato, capace di andare sotto la superficie. E i suoi ritratti, descritti come rapide pennellate, lasciano sempre intuire un po' dell'anima di ognuno.
Per la serie: libri tenuti su uno scaffale a prendere polvere per mesi e pentirsene. Gianni Minà si racconta attraverso gli incontri più importanti della sua vita: dalla famiglia al Grande Torino, dai suoi tre mentori a Fidel, passando per Mohamed Alì, Isabella Rossellini, Silvia Baraldini, Maradona, Chávez, Pertini. Non c'è un personaggio che Minà non abbia incontrato nel corso della sua brillante carriera. Incontri e scambi umani e politici che scandiscono il XX secolo. Filo conduttore è lo sport. Popolare e resistente, arma di riscatto di una generazione segnata dalla guerra. Divorato. Bellissimo. Consigliatissimo. Gianni Minà è uno stile di vita. "Sì, è vero, le loro imprese [di Bartali e Coppi] ci restituivano un poco di orgoglio, dopo la vergogna storica di tutto quello che era successo e che soltanto il riscatto della Resistenza, per noi, aveva un poco medicato. Ma l'incombere della tragedia come uno sparviero minaccioso e lugubre sulle nostre teste non era ancora stato del tutto rimosso e lo schianto contro la basilica di Superga dell'aereo che trasportava il Grande Torino di Mazzola e Loik di ritorno da un'amichevole il 4 maggio 1949 ci aveva fatto ripiombare nell'angoscia di un tempo di morte e di lutto che avevamo creduto concluso per sempre. (...) Da allora ho continuato a tifare per il Toro con la rabbia di un pacifista, specie quando l'elegante francese Nestor Combin nel 1967 aveva collaborato con una tripletta nella nostra inattesa vittoria per 4 a 0 contro la Juve: è stato uno dei primi modi che ho imparato di protestare contro l'ingiustizia, la violenza e la sfortuna".
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