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Storia di una borghesia. La famiglia Vivante a Trieste dall'emporio alla guerra mondiale - Anna Millo - copertina
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Storia di una borghesia. La famiglia Vivante a Trieste dall'emporio alla guerra mondiale
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Storia di una borghesia. La famiglia Vivante a Trieste dall'emporio alla guerra mondiale - Anna Millo - copertina
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2014
23 ottobre 2014
9788886928182

Voce della critica


recensione di Frigessi, D., L'Indice 1998, n. 8

Siamo a tal punto abituati alla diversità di Trieste, a questo suo mito, costruito per negazione e diventato un luogo comune, da dimenticare in nome della "triestinità" alcune sue singolarità storiche e sociali. Appartenuta a una grande monarchia multinazionale di cui costituiva lo sbocco al mare, condizionata dalla sua geografia di confine, due nazionalità, l'italiana e la slovena (quella tedesca non si affermerà mai in modo autonomo, pur esercitando grande influsso sulla cultura cittadina) si sono affrontate nel suo spazio politico e letterario e sul suo territorio.
Ascesa, espansione, decadenza di Trieste e della sua borghesia attraverso la storia di una famiglia sono raccontate con rigore e ricchezza di documentazione da Anna Millo, che da tempo lavora sulle vicende delle classi dirigenti triestine. Sono studi che s'inseriscono in una recente ripresa di riflessioni e discussioni su questa configurazione sociale; la borghesia è categoria cara agli studiosi di storia sociale che ne riconoscono la precaria unità e i molti modi di essere. A confronto con la storia della borghesia italiana, che nella sua distanza dalla modernità produttiva si configurò a lungo quale borghesia di Stato, la storia di quella triestina sembra rappresentare nell'Ottocento un caso a sé, una sorta di "Sonderweg", e appare nella sua eterogeneità forse più prossima alla borghesia austriaca.
Con la crescita di un ceto dirigente di respiro cosmopolita, durante il secolo scorso la fisionomia di Trieste acquista caratteri internazionali. Di questa borghesia mercantile, che diventerà con il tempo finanziaria e imprenditoriale, fanno parte i Vivante, famiglia ebraica che agli inizi dell'Ottocento si sposta da Mantova a Trieste. La politica economica del mercantilismo austriaco, che ha istituito il porto franco con le sue particolari franchigie, tende ad associare i singoli alla sfera d'interessi dello Stato e stimola la crescita impetuosa dell'emporio. Giustamente l'autrice sottolinea l'importanza del patto "fondativo", quella nuova forma di convivenza civile tra sudditi e Stato che caratterizza la vita triestina a partire dalla fine del Settecento, quando si costruisce anche la città neoclassica e inizia, attraverso lo scambio delle merci e dei capitali, l'esperienza della modernità.
Alla metà del secolo, quando scienza e tecnologia provocano mutamenti profondi nelle vie di comunicazione, l'emporio subisce gravi crisi, che verranno superate con la sua trasformazione in porto di transito. È tuttavia svanita ormai la possibilità di fare di Trieste una città "spontaneamente austriaca" (Elio Apih) e gli attriti non mancherano di essere utilizzati quali strumenti nella polemica nazionale. In quel periodo la società dei borghesi triestini percepisce l'esigenza di allargare l'ambito dei diritti umani e civili. La comunità ebraica di cui saranno parte attiva quattro membri della famiglia Vivante rinnova allora le sue norme interne, e conosce anche casi di abbandono della confessione mosaica. La religione si afferma sempre più come una libera scelta individuale, e al proprio interno la famiglia trasforma i ruoli.
Con la nascita del Regno d'Italia e la rottura dei legami con il Veneto, la popolazione italiana a Trieste acquista coscienza più ampia della propria identità. Nascono ambivalenze e scelte in nome dell'idea di nazione, anche se la fedeltà conservatrice all'Austria, da un lato, e, dall'altro, il richiamo liberale all'Italia non sboccheranno in contraddizioni insanabili. Una parte dell'imprenditoria, come quella del Vivante, legata all'Italia oltre che dagli affari anche da affinità culturali, pensa all'annessione; un'altra parte si rivolge invece all'Austria con richieste precise d'intervento. Intanto cresce la mobilità sociale sotto la spinta dell'immigrazione e dell'urbanizzazione, si trasformano le occupazioni. Esemplare la vicenda di Felice Vivante che nel 1880 passa dal "negozio" all'industria con la gestione del Filatoio meccanico di Aidussina.
La crisi dell'emporio spinge il ceto mercantile ad aprire ai propri figli un diverso avvenire professionale, si trascorre così dalla borghesia prettamente economica a quella colta senza escludere intersezioni. I figli diventeranno ingegneri o avvocati, e in questa sfera di professionalità liberale troveranno uno sbocco moderno. Alcune tra le pagine più felici del libro sono dedicate alla nascita (1878) e allo sviluppo della Società d'ingegneri e di architetti di Trieste. Il profilo sociale dei membri di questa associazione professionale, le rivendicazioni legate alla modernizzazione e le preferenze rivolte alla situazione locale, l'adesione al gruppo liberal-nazionale che guida il comune ma al tempo stesso gli scontri con gli interessi della grande proprietà immobiliare, si affiancano all'analisi delle difficoltà incontrate dallo sviluppo urbano (solo nel 1934 Trieste si dota di un piano regolatore). La cultura politica della classe dirigente triestina appare insomma antiriformista, ferma alla pratica inalterata di patteggiamenti e transazione degli interessi, attenta soprattutto a garantire il monopolio di quelli privati, e incontra nella direzione della vita pubblica contraddizioni e tensioni che di lì a poco diventeranno esplosive.
Quando l'idea di nazione giunge in Trieste al punto più alto della tensione e permea tutte le vicende cittadine, si apre un capitolo nella storia della città di cui Angelo Vivante appare protagonista. Figura affascinante di politico e di studioso, amico di Slataper e di Salvemini, collaboratore della "Voce", dell'"Unità" e della "Critica sociale", come nessun altro Vivante impersona le sorti della città in un periodo decisivo e tempestoso della storia europea. Le richieste della minoranza slovena, nuovo attore sociale che chiede di inserirsi nel sistema politico, mettono in difficoltà la classe politica liberal-nazionale. Se è vero che l'unità dei settori borghesi si compie grazie ai nemici comuni, senza dubbio a Trieste questo ruolo spetta agli sloveni, e a Trieste l'estensione dei diritti di cittadinanza non poteva che rivolgersi alla minoranza slovena. Già nel 1894 il suffragio universale era stato chiesto dai socialisti per le strade di Vienna.
È pregio non piccolo del lavoro di scavo sulle vicende triestine condotto da Anna Millo quello di aver ripercorso le tappe dell'avvicinamento di Vivante al socialismo, al quale i suoi stessi principi liberali e i legami per nascita e formazione con quel mondo lo predispongono. Fin da giovane partecipa all'associazionismo triestino, e mantiene l'attività di giornalista, iniziata sul "Piccolo della Sera" e poi sul "Lavoratore", che finirà per dirigere, anche quando diventerà dirigente del partito.
Proprio sul "Lavoratore" compaiono le prime sue riflessioni intorno al problema adriatico e all'irredentismo, mentre a Trieste si fa sempre più dura la lotta nazionale.
"Irredentismo adriatico "esce nel 1912 per le edizioni della "Voce".
Non posso far a meno di ricordare con quale sollievo dell'animo ne leggessi le pagine quando, alla fine dell'ultima guerra, Trieste e la Venezia Giulia vivevano (parole di Stuparich) i loro "giorni più amari". Vivante sottopone a lucidissima critica la politica antidemocratica del partito liberal-nazionale e scava nel dissidio tra anima nazionale e anima economica che condiziona lo sviluppo della città. Non nega la sua italianità ma chiede di trasformare in convivenza la lotta di sopraffazione tra le borghesie italiana e slava, sostenendo una linea politica di compromesso tra le due nazionalità. Viene da lui ripreso, sia pure con altra angolatura, il tema della "doppia anima" di Trieste, del dissidio tra Apollo e Mercurio su cui Slataper aveva costruito il suo discorso letterario; e grande risalto riceve il conflitto tra lo sviluppo borghese ed economico della città, strettamente legato all'Austria e al retroterra danubiano, e il carattere italiano della sua lingua e della cultura. Oggi riconosciamo in questo conflitto tra espansione economica e mondo morale e culturale l'essenza di Trieste.
Gli ideali universalistici di Vivante, sostenitore delle virtù politiche e sociali della convivenza, subiscono un rude colpo durante le guerre balcaniche del 1912-13, che vedono esplodere i nazionalismi slavi. Il suo "levare la mano" su di sé nel luglio del 1915 - frutto di una depressione che l'aveva già tormentato nel corso della sua breve esistenza - appare un esito della "tragica civiltà in cui ci tocca di vivere". Quanto i suicidi di uomini come Vivante e, prima ancora, di Michelstaedter ci suggeriscano sulle sconfitte dell'idea di eguaglianza tra i popoli, sulle perversioni dei sentimenti di appartenenza e più in generale sulla condizione dell'uomo nel mondo, è inutile dire. Il libro di Anna Millo ci ricorda anche questo, pur se concede - di proposito - poco spazio alle forme simboliche che la borghesia triestina ha utilizzato per esprimere la propria contraddittoria identità.

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