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recensione di Lamberti, M.C., L'Indice 1995, n. 4
La monumentale opera del Beloch viene offerta agli studiosi italiani a più di mezzo secolo dalla sua prima comparsa in lingua originale: la "Bevölkerungsgeschichte Italiens" era stata pubblicata infatti tra il 1937 e il 1961, ad alcuni anni di distanza dalla morte dell'autore, che ne aveva affidato il manoscritto alle cure dell'allievo Gaetano De Sanctis. Concepita e portata a termine in un'epoca in cui la demografia era praticamente ignorata dagli storici, essa viene presentata in italiano in momento e clima ben diversi: nel 1970 è stato creato un Comitato italiano per lo studio della demografia storica e dal 1977 ha preso vita una Società Italiana di demografia storica, cui va appunto il merito dell'iniziativa editoriale.
Ma proprio lo sviluppo che la demografia ha ricevuto negli ultimi decenni e i progressi metodologici di cui ha beneficiato possono rendere perplessi sul significato che una simile riscoperta può assumere per la ricerca contemporanea. L'introduzione di L. Del Panta e di E. Sonnino si propone di chiarire quanto di questo lavoro sia da considerare irrecuperabile e quanto invece conservi di attuale e di vivo, e si può sostanzialmente concordare con la loro argomentazione.
Senza dubbio è irreparabilmente vecchio l'apparato teorico cui la fatica di Beloch si ispira: troppo scarno è il numero delle variabili da cui fa dipendere la consistenza della popolazione, ridotta a semplice funzione delle caratteristiche geofisiche e dell'economia di un territorio; troppo rigida l'immagine che egli ha dei rapporti tra le componenti demografiche (da quelli che intercorrono tra le diverse fasce d'età a quelli che permettono di risalire dal numero delle famiglie all'ammontare degli individui); troppo ansiosa di arrivare al più presto a leggi generali la sua lettura dei dati esistenti e troppo frettolosa l'applicazione di queste per appoggiare le congetture sulle cifre mancanti.
Sono colpe naturalmente legate all'epoca in cui K. J. Beloch è vissuto, ma che potrebbero relegare la sua opera tra i monumenti del passato, inutilizzabili per l'indagine contemporanea, se non fossero accompagnate da alcuni altri pregi. Innanzitutto un metodo di vaglio critico dei documenti ancora in gran parte proponibile: sulla loro attendibilità egli si pronuncia, sia tenendo conto degli scopi cui ciascuno di essi doveva assolvere, sia sottoponendoli a reciproco accostamento e confronto. Sbalordisce poi la massa di informazioni fornite per i vari stati italiani, frutto per lo più di una pionieristica e infaticabile attività di ricerca condotta su carte e su libri; se certo l'autore non ha potuto indicare tutto quanto è disponibile negli archivi, ha tuttavia segnalato in modo pressoché definitivo quali sono i tipi di fonte sui quali la demografia storica italiana può contare. Infine l'opera, con le sue ambizioni implicitamente comparative, ricorda allo studioso di oggi una meta da perseguire, per ammonendolo sui rischi che' essa comporta, quando la si voglia raggiungere prematuramente.
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