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Compendiare in un numero limitato di pagine una vicenda lunga e complessa come quella del Partito socialista italiano, iniziata a fine Ottocento nell'Italia monarchica e liberale, e conclusasi un secolo esatto più tardi, nel tracollo del sistema dei partiti nato dalla Resistenza, quando si iniziò a parlare di fine della "prima Repubblica", non era certo un'impresa facile. Paolo Mattera, ricercatore dell'Università di Roma Tre, già noto per alcuni studi in materia, tra i quali Il partito inquieto. Organizzazione, passioni e politica dei socialisti italiani dalla Resistenza al miracolo economico (Carocci, 2004), ci è riuscito brillantemente, ricostruendo quella vicenda in maniera analitica, passo dopo passo, a partire dalla fondazione del partito nel 1892 (cioè in un contesto sociale ancora fortemente arretrato, antecedente i processi di industrializzazione e di modernizzazione del paese) e arrivando sino alla sua dissoluzione nei primi anni novanta del secolo scorso, in una realtà totalmente mutata sotto ogni profilo (economico, politico-istituzionale, culturale).
Si tratta dunque di un'opera di sintesi, pensata come l'intera collana dei "Quality Paperbacks" in cui compare per un pubblico largo, non di soli specialisti, o per gli studenti universitari dei corsi di laurea triennali: non ci sono, cioè, note al testo, né un'introduzione critica, e la bibliografia finale risulta obiettivamente un po' scarna, se commisurata con la vastità dell'argomento e della letteratura esistente (avendo scelto, come avverte Mattera, "di indicare solo alcuni lavori di orientamento generale sul tema e opere da cui sono tratte le citazioni"). Cionondimeno il volume è di notevole interesse, non solo per il fatto di costituire la prima storia complessiva del Psi con queste caratteristiche di divulgazione, ma anche per il tentativo, da parte dell'autore, di legare strettamente quei cento anni di storia del socialismo italiano a un insieme di considerazioni sulle trasformazioni vissute in quell'arco di tempo dalla società italiana. Se per un verso, quindi, l'asse portante della narrazione consiste nella ricostruzione delle vicende politiche, che videro il Psi tra i maggiori protagonisti della vita pubblica nazionale (e quindi, in ultima analisi, consiste anche nella storia dei suoi gruppi dirigenti, delle ideologie circolanti al loro interno, delle scelte che essi operarono nei diversi frangenti politici), per l'altro verso Mattera non ha trascurato di fare riferimento a come siano mutati, nel corso del tempo, tanto gli scenari sociali entro i quali il Psi operava, quanto, di conseguenza, le forme dell'azione politica collettiva, i linguaggi della comunicazione e della mobilitazione di massa, le modalità stesse di rappresentazione degli interessi sociali.
Apprezzabile anche per la chiarezza della scrittura, il volume presenta tuttavia alcuni limiti, forse inevitabili nell'ambito di un'opera così ambiziosamente, e a vastissimo raggio, concepita. Al di là di un certo squilibrio nella distribuzione della materia (la parte più dettagliata è senza dubbio quella in cui l'autore si è avvalso del suo precedente lavoro sul Psi dalla Resistenza al miracolo economico) e di qualche piccola lacuna (come quella relativa alla crisi politica e ideologica che accompagnò la nascita dello Stato di Vichy, sicché di un personaggio come Angelo Tasca, indicato tra i massimi dirigenti del Psi in esilio alla fine degli anni trenta, si perdono improvvisamente e senza spiegazione le tracce), a colpire è soprattutto il quadro interpretativo d'insieme. Si ha l'impressione, infatti, che l'autore, volendo raccontare la storia di un partito che ha interagito come si legge nella quarta di copertina "con i profondi mutamenti della società italiana", abbia finito per assumere quei mutamenti come un fatto oggettivo, un processo di sviluppo del paese dalle modalità quasi ineluttabili e scontate, anziché porselo come problema storico, attorno al quale articolare anche un giudizio sul ruolo del Partito socialista.
Da qui il ricorrere nel testo di immagini retoriche come quella delle "occasioni perdute" (un errore che avrebbero compiuto, curiosamente, tanto Filippo Turati di fronte alla crisi dello stato liberale, quanto Bettino Craxi ai primi segnali di esaurimento del sistema dei partiti nell'età repubblicana); da qui, quindi, anche il carattere un po' assiomatico di alcuni passaggi, che avrebbero invece meritato qualche spiegazione in più (a proposito degli anni ottanta del secolo scorso, ad esempio, si legge che "la trasformazione della società rendeva sempre meno efficaci i due strumenti tipici dei partiti del XX secolo: l'ideologia e l'organizzazione sul territorio"); e da qui, più in generale, una certa tendenza a spiegare l'intera storia del socialismo non solo italiano, si direbbe a partire dai suoi esiti conclusivi, cioè dal fatto che negli ultimi decenni del Novecento esso abbia finito per integrarsi totalmente nel sistema sociale capitalistico e nelle forme dominanti della democrazia rappresentativa, rinunciando in maniera più o meno aperta alle proprie originarie motivazioni.
Ma questo, appunto, è un problema storico in larga parte ancora da indagare (anzi: è senza dubbio uno dei grandi "nodi" della storia del Novecento), non un mero dato di fatto che non esige spiegazioni. Così come stupisce un po' che l'autore, così attento al rapporto del Psi con il mutare dei contesti sociali, abbia fatto riferimento solo episodicamente (e tutto sommato in maniera incidentale) alle dinamiche della lotta sindacale e, più in generale, all'andamento dei conflitti di classe, che pure furono a lungo al centro dell'elaborazione progettuale socialista; un limite di prospettiva che risulta particolarmente evidente allorché il volume affronta gli anni settanta, cioè il periodo storico aperto dalle grandi lotte sociali del biennio 1968-69, ricostruendone tutte le principali vicende politico-istituzionali e cogliendone bene il carattere di svolta che ebbe per il Psi, ma senza riuscire a rendere appieno la complessità e la contraddittorietà della crisi economica e sociale di quel decennio.
A destare qualche perplessità, inoltre, è la parte conclusiva del libro, che risulta inevitabilmente ricalcata su fonti quasi esclusivamente giornalistiche e che sembra risentire troppo del carattere tuttora aperto di molte questioni toccate (in primis le ragioni e le esatte modalità della cosiddetta crisi della cosiddetta prima Repubblica, su cui in realtà sappiamo ancora molto poco e rispetto alle quali la ricerca storica è appena agli inizi). Né sembra giustificato, a questo proposito, il silenzio sul fatto che oggi l'Italia sia l'unico paese europeo in cui non esiste più un partito di massa di matrice socialdemocratica o laburista. Fra le tante "anomalie", vere e presunte, del nostro paese, non si tratta certo della meno significativa.
Al di là di questi rilievi, la pubblicazione del volume è comunque da salutare senz'altro con favore, non solo perché ci offre per la prima volta un quadro d'insieme della storia del Psi (intesa, proficuamente, come chiave di lettura fondamentale delle vicende dell'Italia contemporanea), ma anche per la ricchezza delle riflessioni storico-politiche alle quali l'opera si presta. Un contributo importante, insomma, e che pare indicare la necessità, sempre più evidente, di nuovi studi e di nuove ricerche.
Marco Scavino
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