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Questo di David Cook è un libro pericoloso e insieme necessario. "Pericoloso", perché la questione del jihad è quanto mai delicata, e in questa monografia non viene risolta in maniera tanto conciliante; "necessario", perché affronta con rigoroso metodo filologico-critico un tema importante dell'islam di tutti i tempi, presentando al lettore il risultato di un esame condotto cosa rara quanto preziosa direttamente sui testi della tradizione. Considerata la verve critica mostrata dall'autore nel suo lavoro, si può dire che l'argomento venga da lui "afferrato per i capelli" e riportato con forza nella sua dimensione storica, quale un monello riottoso che faccia di tutto per non andare a scuola.
E in effetti, proprio l'ignoranza è quella che fa parlare molti islamisti occidentali improvvisati, portandoli a dichiarazioni scioccamente ireniche sul primato del jihad interiore rispetto a quello bellicoso all'interno della tradizione musulmana. Atteggiamento questo molto nobile, naturalmente (e forse anche necessario, di fronte agli attacchi indiscriminati fatti da certa pubblicistica nei confronti di questa religione), ma non utile a cogliere i problemi nella loro complessità. Già, perché l'analisi di Cook dimostra inequivocabilmente che il jihad (letteralmente "sforzo" che si riferisce alla pratica della guerra regolamentata per l'elevazione dell'islam) è sempre stato inteso dai musulmani prima di tutto secondo la sua accezione militare. La differenza tra "piccolo jihad" (esteriore) e "grande jihad" (interiore), comparsa in epoca più tarda (medievale) e spesso oggetto di speculazioni da parte dei sufi, non ha come invece vorrebbero gli irenisti di cui sopra valore dicotomico: il secondo non è mai affermato a scapito del primo, l'allegoria non sussiste senza la lettera. Tante volte, i sufi che riflettevano sullo "sforzo" interiore, praticavano anche quello esteriore.
Del resto, ciò che emerge più in generale dal libro è la funzionalità del jihad rispetto alle esigenze storiche e religiose della comunità musulmana in espansione. La religione di Maometto, viene chiarito, non è stata imposta con la spada (nella maggior parte dei casi), ma la spada ne ha certo determinato le precondizioni facilitando l'instaurazione, nei territori conquistati, di una dirigenza musulmana: il miracoloso successo del jihad degli inizi è dunque assurto a dimostrazione incontrovertibile del favore divino accordato alla umma, divenendo successivamente un modello difficilmente aggirabile per i credenti di tutti i tempi. Insomma, proprio il prodigio delle vittoriose campagne del profeta e dei suoi successori ha, di fatto, incastrato i musulmani nella convinzione che la verità, se tale è, deve già in questo mondo prevalere sulla menzogna, rifulgere sull'ignoranza.
La forza di questo saggio sta nell'analisi storica del concetto di guerra santa nei secoli dell'islam classico, ma, nel momento in cui ci si avvicina ai tempi più recenti, le conclusioni dell'autore divengono man mano più opinabili: si avverte la sgradevole sensazione che lo specialista di islam delle origini e di letteratura apocalittica fuoriesca dai limiti sicuri del suo campo di indagine, per includere nelle sue riflessioni lo spettro eccessivamente ampio e complesso della realtà odierna. Intanto, occorrerebbe sempre ricordare che sulle responsabilità effettive di molti dei drammi più gravi che hanno funestato questi ultimi anni pesano dei dubbi seri, il che rende disagevole emettere giudizi netti. Inoltre, il rischio, cui tende a indulgere l'autore verso le ultime pagine, è quello di far coincidere l'islam con il jihad: l'accusa mossa ai religiosi musulmani di non aver chiaramente preso le distanze dalle frange più radicali pare semplificata, per non dire ingiusta nei confronti di tutti quei moderati che hanno pagato e continuano a pagare con la vita il proprio rifiuto di allinearsi su posizioni intransigenti. La tentazione di dire che cosa dovrebbe fare l'islam odierno è sempre forte negli studiosi occidentali, eppure lo storico dovrebbe sempre ricordare che suo compito non è quello di emettere giudizi, ma solo di aiutare a comprendere. Fabrizio Vecoli
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