Un ritratto mosso e frastagliato di una generazione, una pagina di storia degli intellettuali italiani, una riflessione sul rapporto fra storia e politica che a tratti pare guardare al presente. Tutto questo e molto altro è il libro di Gilda Zazzara; ma forse è soprattutto, come la stessa autrice tiene a precisare, "il tentativo (
) di storicizzare il proprio ambiente professionale", ovvero un approfondito saggio di storia della storiografia. Zazzara segue il percorso di alcuni dei più famosi storici del secondo dopoguerra (Manacorda, Ragionieri, De Felice, per citarne alcuni) e le vicende di tre grandi istituzioni culturali (la Fondazione Feltrinelli, l'Istituto Gramsci, l'Insmli) tra la fine della seconda guerra mondiale e l'esplodere della contestazione studentesca (1945-1968), con qualche richiamo al periodo precedente e qualche incursione verso quello successivo. Nel fare ciò, ricostruisce la nascita e l'affermazione di una nuova disciplina, la storia contemporanea, in precedenza negletta dall'accademia e destinata a conoscere successo, e polemiche, nei decenni successivi. Il quadro che ne risulta fornisce l'occasione di ritornare da un punto di vista inedito su alcune questioni centrali della storia della cultura italiana: la spinta verso l'impegno pubblico degli intellettuali usciti dal fascismo; lo stretto rapporto che si instaura con i partiti di sinistra, in primis con il Pci; la politica culturale di quest'ultimo; l'emergere di nuovi oggetti di ricerca, primi fra tutti la storia del movimento operaio e la storia della Resistenza; il dialogo serrato fra ricerca storica e attualità politica. A fine lettura, resta impressa soprattutto l'immagine di un engagement politico e sociale che, nonostante tensioni e incomprensioni, riuscì a conciliare impegno pubblico e scrupolosità scientifica. Daniele Pipitone
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