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Documentario sulla vita di un uomo che, amato o odiato è entrato nella storia dell’umanità. Ma più che altro con questo film è possibile comprendere l’uomo che è stato Steve Jobs da diversi aspetti, da diversi punti di vista. Quello che salta all’occhio soprattutto, è la voglia di vivere una vita a tutti i costi sempre al massimo, cosa non negativa se si pensa che il destino lo abbia portato a lasciarci ancora giovane, ma che a volte non giustifica i mezzi utilizzati. Mi sento di consigliarne la visione e riflettere su ciò che è, è stato e sempre sarà.
Scritt'e diretto dal premio Oscar Alex Gibney, il documentario sulla vita del fondatore dell'azienda di Cupertino è un ritratto da cui emerge un personaggio "Bold, Brillant, Brutal" (audace, brillante e brutale), un visionario m'anch'un "leader spietato e senza scrupoli". Fin qui nulla di nuovo, mentre le sorprese risiedon'altrove: la "i" usata come prefisso nei prodotti di Jobs non è un corrispettivo di "smart", "clever", ecc., non è l'iniziale di "intelligent" né d'alcunché di simile. Quella "i" va intesa come singola parola, "io", e designa l'egotismo del suo imprenditore e dei suoi acquirenti, fruitori e fanatici, una setta d'adepti tecnocentrica ed elitaria per i prezzi esorbitanti disposti a sborsare pur di sfoggiar'il brand assurto allo status symbol più in voga del momento. Forse Gibney ha scelto questo soggetto subito dopo "Scientology" (sempre del 2015) per tali sconcertanti affinità. Second'elemento di sorpresa: si sapeva che Apple e il suo logo non facessero riferimento a Turing e al suo suicidio. L'unic'alternativa residua è all'ofitismo adamitico e prometeico: a Cupertino sono convinti d'avere la sapienza di chi ha osato ribellarsi mangiando l'edenico frutto proibito. Parola di "monaco Zen" (sic).
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