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Statue vestite e snodate. Un percorso - Valeria E. Genovese - copertina
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Statue vestite e snodate. Un percorso - Valeria E. Genovese - copertina

Descrizione


L'esperienza del simulacro che 'pare vivo', iperreale, attraversa con modalità differenti la storia della cultura e dell'arte, mentre statue, manichini, automi e bambole da sempre popolano l'immaginario letterario. Nella pratica devozionale, in modo particolare, il ricorso a statue vestite e snodate affonda le sue radici in una ricca tradizione culturale, spesso connotata in senso marcatamente popolare, in cui confluiscono aspirazioni diverse: liturgiche e devozionali in primo luogo, ma anche sociali e politiche. In questo volume Valeria Genovese affronta lo studio di queste figure polimateriche da una pluralità di punti di vista: metodi operativi necessari alla costruzione, talvolta sofisticata, di manichini snodabili; ragioni espositive di immagini lussuose, spesso a dimensioni naturali; uso anche politico di simulacri non solo profani; contesto operativo e sperimentale delle botteghe artigiane. Ne derivano una ricerca originale rispetto agli studi tradizionali di storia della scultura e risultati critici inediti, ottenuti attraverso un uso trasversale della bibliografia già disponibile e nuove ricerche di archivio raccolte in appendice al volume.
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Dettagli

2011
20 aprile 2011
9788876423925

Voce della critica

Viste e considerate frettolosamente dagli specialisti e dai colti come prodotto e oggetto di una devozione ignorante, retriva e quasi animista, le statue vestite (prevalentemente Madonne, sante, Bambinelli, alcuni Crocifissi) sono invece il portato di una civiltà antica e articolata, costituendo un fenomeno la cui presenza è capillare. Valeria E. Genovese lo esplora attraverso pagine densissime di concetti, di esempi e di spunti che andranno recepiti, vagliati e sviluppati. Ciò che affiora in questa densità è innanzitutto la certezza che la vestizione della statue è pratica più pervasiva e rilevante di quanto comunemente ritenuto. È perciò degno di ammirazione il tentativo della studiosa di registrare tutto, includere tutto, analizzare ogni aspetto della questione, mentre la sua furia "esemplificativa" serve a dare consistenza numerica e sostanza a ogni fattispecie considerata dando corpo, in senso letterale, a un fenomeno altrimenti sfuggente. Pagina per pagina, nodo per nodo, il lettore attraversa così i cinque capitoli del testo avvalendosi di due appendici di documenti, testi letterari e fonti utili a riscontare le notizie fornite. La categoria "statua vestita", spiega Genovese, non compare in alcun documento né connota un genere della scultura; si impone invece come "formula icastica capace di raccogliere i diversi aspetti della questione" e deriva dall'osservazione di un processo compiuto e verificato. Le statue vestite sono sculture ed è il loro aspetto a qualificarle come "vestite" e a farne una categoria che sta a sé nella ricezione e quindi nel trattamento ovvero le manipolazioni antiche e i restauri più recenti che spesso le hanno riportate a una nudità solo talvolta originaria. La classificazione delle tipologie riscontrate serve a intendere la complessità della questione: se esiste il vero e proprio manichino scolpito e snodato (in questo caso la sua vestizione è "interna alla struttura di cui l'abito è necessario complemento"), vi è il telaio ligneo imbottito che ha testa e arti scolpiti in legno, cera, porcellana o terracotta rifiniti e policromati; inoltre la massa lignea "sommariamente sgorbiata a larga sezione troncoconica"; infine la struttura autonoma anche "vecchia" in legno o terracotta o marmo talvolta rimodellata e resa mobile negli arti superiori. Come spiega l'autrice, tutte sono state vestite a un certo punto della loro esistenza, procedendo ad adattare "statue intere – smesse o non più apprezzate – a statue mobili", aggiornando "le immagini in possesso ai fini di una maggiore funzionalità liturgica ma anche di una diversa collaborazione del popolo devoto alla magnificenza" perciò dotate di gioielli e fatte oggetto di doni votivi. La ricerca di Genovese privilegia l'ultima tipologia presentando una notevole quantità di esempi di opere di scultura anche di notevole importanza e anche molto antiche, reimpiegate, dopo le debite modifiche, come statue vestite (le Annunciate lignee di Benabbio, Tereglio, Patrigliano, Barga in provincia di Lucca, assottigliate e decurtate per "consentirne la vestizione con i corsetti striminziti imposti dalla moda del primo Settecento"), collocate entro nuovi altari, cioè nuovi contesti grazie all'uso di tendaggi, cortine e sportelli della cui funzionalità (anche simbolica) l'autrice pure si occupa, puntando sul tema, fondamentale per il culto, del "disvelamento" rituale e liturgico. È però la vestizione – "l'abito si impone alla struttura scolpita" – che, qualificando l'opera, le crea attorno un mondo "nuovo" accentuandone il naturalismo e trasformandola in una "persona viva", circostanza questa che segnerà, in epoca di Controriforma prima, neoclassica e purista poi, la sfortuna critica e conservativa del genere. Se risulta oggi impressionante l'elenco della dotazione di vesti delle Madonne veneziane nel Cinquecento, non può che far riflettere il caso della statua del San Martino a cavallo della Cattedrale di Lucca che ogni anno, a carico del Comune, veniva vestito con abito bianco e rosso foderato e bordato di sedici pelli di vaio in un rito pubblico organizzato dall'autorità civile sin dal 1334. Figure composite e miste ignorate da Giorgio Vasari, "cadaveri d'accatto" come le definisce Ortega y Gasset, "asilo sicurissimo de' sorci" come scrive lo sconcertato pittore Pietro Antonio Meloni (1761-1836) delle statue vestite di Imola, queste opere sono tra le sopravvivenze più interessanti e significative della stratificazione di arte, devozione, rito e superstizione giunte fino a noi. Una parola però è in grado di spiegare, da sola, molto dell'attrazione e dell'avversione che esse esercitano sullo spettatore; il caso evocato da Genovese, la bambola fatta realizzare da Oskar Kokoscha con l'effige di Alma Mahler è esemplare. La chiave per comprendere quella "tragedia" non è infatti la verosimiglianza, ma il feticcio. Patrizia Zambrano

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