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"La stanza di Therese" di Francesco D'Isa custodisce una storia davvero singolare: la protagonista, Therese, si finge in viaggio, ma si chiude in una stanza d'albergo. Dal suo esilio volontario scrive alla sorella. Il romanzo ha la forma di una corrispondenza. Ogni lettera è commentata e accuratamente annotata, corredata d'immagini, citazioni, disegni. Per Therese la vita non corrisponde ad una somma d'esperienze, ma ad un viaggio verso il trascendente. La giovane donna intraprende un percorso d'autoanalisi, di revisione di sensazioni, reazioni, realtà, percezioni. Il percorso è tortuoso, accidentato, ma molto stimolante. Dall 'infinitamente piccolo all' 'infinitamente grande, tutto sollecita tanto la sua mente quanto il suo spirito, tutto suscita domande la cui risposta è "sia sì che no". Essa dipende dal nostro incedere nel mondo, da quanto esso può scalfirci, sfiorarti o venirci incontro, ma anche da quanto noi siamo disposti a fare lo stesso nei suoi confronti. D'altronde, se non ricordo male, "Dio gioca a dadi".
L'infinito è l'astratto per antonomasia. L'irrangiungibile. L'irrealizzabile. La divinità. Donne e uomini acuti e capaci si sono scontrati per secoli su una sua definizione. Su un suo - paradossale - limite. E hanno dato il loro contributo alla filosofia, o alla matematica - o a entrambe. Therese non si accontenta di teorie e sistemi. Il suo rapporto con l'infinito e il trascendentale è ipnotico e ossessivo. Carnale, quasi. La spinge a farsi domande su sé stessa, sull'esistenza, sul tutto e sul nulla. La porta addirittura a rinchiudersi in una stanza, e a cercare di annullare quell'enorme - o minuscolo, questione di punti di vista - divario tra la Realtà e l'Irrealtá. . "La stanza di Therese" di @disa_fran è la raccolta dei pensieri di Therese, sotto una forma epistolare assai particolare. Alle sue lettere, la sorella - sua interlocutrice anonima - risponde infatti con appunti ai lati. Pamphlet filosofico? Divertissement ergodico? L'intera vita di Therese è schiacciata, divelta e quasi annullata dai suoi dubbi e paradossi. L'infelicità latente di chi più cerca, più si ritrova senza appigli, e sicurezze. Persino le sue lettere, inframmezzate di ritagli di fogli, strappi, immagini e appunti, si ergono a rappresentazioni della confusione di Therese: parole estranee - possiamo dire quindi irreali? - che si sommano al pensiero genuino e reale della ragazza. Evanescente, intangibile Therese, che non può fare a meno di paragonarsi alla concreta, perspicace sorella. Irrazionalità e razionalità, filosofia e matematica, astratto e concreto che si fondono insieme in un qualcosa di oltre, di estremo.
Conturbante, psicologico, intenso e sensuale. La storia di una solitudine che diviene una scelta consapevole di vita, ricco di forti citazioni culturali, e richiami matematici.
Recensioni
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Da un paio d’anni la casa editrice Tunué, prima riservata a fumetti e libri illustrati, ha inaugurato una collana di narrativa italiana diretta dallo scrittore Vanni Santoni e dedicata per lo più ad autori esordienti. I romanzi di Tunué si sono rapidamente imposti per il loro carattere poco ortodosso e la forte impronta stilistica dei suoi scrittori, una “linea” che da sola basta a farne tra le cose più interessanti accadute all’editoria (piccola) italiana negli ultimi tempi, anche se non sempre l’anticonformismo di questi (a volte giovanissimi) autori è sostenuto da mezzi e motivazioni all’altezza delle ambizioni. Non è certamente il caso dell’ultimo La stanza di Therese, scritto da un autore non così giovane (è nato nel 1980) né alle prime armi: Francesco D’Isa è artista e scrittore fiorentino con alle spalle opere grafiche di valore e alcuni libri che traducono il suo doppio interesse in testi a cavallo tra i codici: immagini che si fanno storia e narrazioni che si ripiegano su se stesse tendendo all’immediatezza e alla simultaneità dell’immagine. Il suo nuovo romanzo ribadisce e perfeziona questo gusto per l’ibridazione, dando forma compiuta a un’inclinazione filosofica già presente negli altri libri.
La stanza di Therese è una raccolta di lettere che la protagonista, chiusa da mesi dentro una stanza di albergo in una località sconosciuta, scrive alla sorella, suo unico contatto con il mondo esterno. Cosparso di soluzione visive composite e stravaganti, il romanzo si colloca in un filone sotterraneo di libri anfibi che vanta origini lontane, dalla poesia alessandrina, passando per le prodezze rinascimentali di autori eccentrici come Francesco Colonna, e su fino a Kubin, ai surrealisti e alle varie sperimentazioni verbo-visive del secondo Novecento. Therese, dunque, dalla clausura eremitica della sua stanza d’albergo cerca («la mia solitudine non è una fuga, è un metodo») di capire sé stessa e il mondo, e lo fa muovendosi tra vette metafisiche e frammenti autobiografici, alter nando un discorso filosofico che non sembra per nulla improvvisato (ed è bello quando la filosofia pura, teoretica, riesce a uscire dalle aule universitarie) a un serrato confronto con la sorella, doppio e antagonista della narratrice: lei riservata, dolente, iperriflessiva, l’altra vitale, pragmatica, proiettata verso l’esterno. A margine del testo leggiamo le note e le repliche manoscritte - ironiche, a volte preoccupate, altre ancora alla ricerca di un difficile dialogo intellettuale - della sorella stessa, mentre nel corpo delle sue lettere Therese inserisce collage, ritagli tipografici, schemi, opere d’arte varie (molte delle quali dello stesso D’Isa) col risultato di trasformare l’epistolario in qualcosa a metà strada tra il trattato illustrato e il libro d’artista. Lo stile di pensiero di Therese è improntato a un nichilismo radicale che ricorda un Ray Brassier in odore di religione, ma anche la prosa lucida e dimostrativa di Wittgenstein (che appare più volte), comunque dotato di un coefficiente poetico che lo avvicina - complice il titolo con nome femminile e l’uso di immagini - a Nadja di Breton o a certi romanzi esistenzialisti in equilibrio tra lirismo e riflessione. Theory fiction, libro-oggetto, romanzo epistolare, saggio poetico, repertorio di emblemi, La stanza di Therese è molte cose in poche pagine, un’opera breve ma esorbitante e piacevolmente inattuale: il ritratto di un animo ossessionato da sé stesso e dall’insensatezza della vita, un attimo prima di sparire in quella che forse è una fuga mistica, a inseguire la santa di cui (ancora forse) la protagonista porta il nome.
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