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Descrizione


Se oggi si chiedesse a un cittadino italiano, anche di sinistra, anche se discretamente informato, se le vittime di Stalin siano state tre o trenta milioni, quasi certamente direbbe trenta. Il dato è illuminante di quanto la storiografia liberaldemocratica ma anche l'antistalinismo di sinistra abbiano influenzato l'immaginario collettivo, tramandando il mito di un dittatore sanguinario e paranoico. Sia chiaro che anche solo un milione di vittime di una strategia politica errata e disastrosa sarebbero sufficienti a darne un giudizio negativo. È oggi cruciale, a maggior ragione in questa fase di afasia della sinistra, valutare la portata esatta di quel fenomeno che fu lo stalinismo per trarne le necessarie conclusioni in sede politologica e storica. È lo scopo che si prefigge questo pamphlet di Giorgio Galli dalla duplice natura: quella storiografica, volta a dirimere l'annosa querelle sulle "cifre", e quella politica, in cui si offrono spunti di riflessione per far superare il senso di vergogna e di colpa che paralizza i leader della sinistra. Nessun dubbio che quello stalinista sia stato un regime di stragi e persecuzioni di massa. Ma Stalin è responsabile di nove milioni di vittime nel contesto storico delle due guerre mondiali del Novecento, non scatenate dal comunismo, che hanno provocato settantacinque milioni di morti. Oggi la sinistra per rinvigorire questa democrazia non deve richiamarsi al liberalismo dell'Ottocento ma inventare quello del XXI secolo, più equo e democratico.
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Dettagli

2009
19 maggio 2009
136 p., Brossura
9788860735409

Voce della critica

Il fine che si propone Galli è una sorta di candido revisionismo al contrario. La sinistra, che ha flirtato in varia misura con il cosiddetto stalinismo, dovrebbe, a suo parere, smetterla di aver complessi di inferiorità e sbarazzarsi del senso di colpa. In base a macchinosi calcoli, dei quali è difficile convalidare l'autenticità, il dittatore georgiano sarebbe responsabile di non più di nove milioni di vittime, mentre i conflitti scatenati dalla parte avversa avrebbero provocato, tra il 1914 e il 1975, almeno settantacinque milioni di morti. Ergo: al mostro è riconducibile il 12 per cento dello spaventoso massacro. Galli si sofferma sui dati delle vittime, accettando la logica obitoriale dei vari "libri neri". Ma i guasti dello stalinismo non sono calcolabili solo con il pur impressionante numero di vittime causate. La sinistra, per liberarsi sul serio di Stalin e della sua ombra, non ha, secondo l'autore, che da "agire agli antipodi di quello che Stalin rappresentò: se egli era autoritario, la sinistra dovrà essere libertaria ampliando i diritti civili". Se egli fu antidemocratico, la sinistra dovrà presentarsi democratica. La ricetta (ormai anacronistica) di questa sorta di tardivo riscatto per antitesi rimane agganciata all'ideologia dello stalinismo. La strada andava percorsa ben prima e non enfatizzando la conta dei cadaveri. Per uscire dai miti la storiografia, se onesta, può fare qualcosa. Desta inquietudine la rivalutazione che certi manuali fanno di Stalin nella Russia odierna. Le vittime ammonterebbero a non più di 700.000. E se la repressione si scatenò fu perché "sotto l'influsso degli stati d'animo di opposizione, il partito, essendo unico, stava diventando terreno fertile per la formazione di vari gruppi e correnti politiche di idee differenti". Allusivo soccorso a Putin?
Roberto Barzanti

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