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Il fine che si propone Galli è una sorta di candido revisionismo al contrario. La sinistra, che ha flirtato in varia misura con il cosiddetto stalinismo, dovrebbe, a suo parere, smetterla di aver complessi di inferiorità e sbarazzarsi del senso di colpa. In base a macchinosi calcoli, dei quali è difficile convalidare l'autenticità, il dittatore georgiano sarebbe responsabile di non più di nove milioni di vittime, mentre i conflitti scatenati dalla parte avversa avrebbero provocato, tra il 1914 e il 1975, almeno settantacinque milioni di morti. Ergo: al mostro è riconducibile il 12 per cento dello spaventoso massacro. Galli si sofferma sui dati delle vittime, accettando la logica obitoriale dei vari "libri neri". Ma i guasti dello stalinismo non sono calcolabili solo con il pur impressionante numero di vittime causate. La sinistra, per liberarsi sul serio di Stalin e della sua ombra, non ha, secondo l'autore, che da "agire agli antipodi di quello che Stalin rappresentò: se egli era autoritario, la sinistra dovrà essere libertaria ampliando i diritti civili". Se egli fu antidemocratico, la sinistra dovrà presentarsi democratica. La ricetta (ormai anacronistica) di questa sorta di tardivo riscatto per antitesi rimane agganciata all'ideologia dello stalinismo. La strada andava percorsa ben prima e non enfatizzando la conta dei cadaveri. Per uscire dai miti la storiografia, se onesta, può fare qualcosa. Desta inquietudine la rivalutazione che certi manuali fanno di Stalin nella Russia odierna. Le vittime ammonterebbero a non più di 700.000. E se la repressione si scatenò fu perché "sotto l'influsso degli stati d'animo di opposizione, il partito, essendo unico, stava diventando terreno fertile per la formazione di vari gruppi e correnti politiche di idee differenti". Allusivo soccorso a Putin?
Roberto Barzanti
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