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Questo libro è il primo che abbia detto alcune essenziali verità su Stalin. E le ha dette così presto, e con tale nettezza, che la sua presenza ha accompagnato come un’ombra gli ultimi vent’anni di vita del capo sovietico, oltre che la sua fortuna postuma. Non solo: le ha dette per bocca di uno storico che era stato uno dei segretari della Terza Internazionale, uno dei fondatori del Partito Comunista Francese, collaboratore di Lenin, Trockij, Zinov’ev, Bucharin, Radek, Rakovskij, Klara Zetkin, Gramsci, Bordiga, infine amico e compagno di Simone Weil nelle lotte del sindacalismo rivoluzionario in Francia. Souvarine giunse dunque a capire la natura di Stalin e del bolscevismo dall’interno, e da un interno assai intimo, senza però che la sua visione fosse a sostegno di un certo bolscevismo contro un certo altro, come avvenne invece ai molti trockisti che denunciarono i misfatti di Stalin negli Anni Trenta. Souvarine presentò per la prima volta all’Occidente un’immane quantità di fonti e documenti, fino allora ignorati o letti rozzamente: e soprattutto illuminò questo materiale con una lucidità e una fermezza esemplari, che vi facevano risaltare non solo il profilo della persona Stalin ma quello che Souvarine chiamò il «disegno storico del bolscevismo».
Pubblicato a Parigi nel 1935, dopo complesse vicissitudini editoriali, lo Stalin di Souvarine ebbe un’edizione ampliata nel 1940 – e infine, nel 1977, dopo lunghi anni in cui il libro era introvabile e ricercatissimo, riapparve nell’edizione che qui si presenta, con l’aggiunta di un capitolo sugli ultimi anni di Stalin e di una preziosa prefazione in cui l’autore ha raccontato la tortuosa storia della sua opera. A Georges Bataille, amico di Souvarine, che gli chiedeva notizie sulle decisioni dell’editore Gallimard riguardo allo Stalin, André Malraux rispose: «Penso che lei abbia ragione e, con lei, Souvarine e i vostri amici, ma sarò dalla vostra parte quando sarete i più forti». Il tempo sembra aver rafforzato in modo inaudito, con le rivelazioni e i fatti che si sono sgranati negli anni, la posizione di Souvarine. Ma non per questo oggi il suo libro si pone dalla parte dei «più forti». Rimane il fatto che rare volte gli eventi hanno a tal punto accentuato l’attualità di un libro di storia contemporanea come in questo caso. Tre decenni prima che il mondo occidentale cominciasse a capire il significato della sigla GULag, Souvarine scriveva: «Se si pensa alle condizioni miserabili dei milioni di deportati, alle masse di forzati maltrattati e ai campi di concentramento nei quali una spaventosa mortalità apre larghi vuoti, ai campi di isolamento e alle carceri gremite, ai milioni di bambini abbandonati fra cui una esigua percentuale riesce a sopravvivere alle esecuzioni capitali e alle spedizioni punitive, in breve alle moltitudini “falciate a larghe bracciate” da Stalin, non c’è da stupirsi davanti agli immensi carnai di questa gigantesca prigione definita con doppia antifrasi “patria socialista”».
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