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Accanto alle sue grandi raccolte poetiche, incentrate sull'identità tormentata dei neri antillesi, divisi tra la nostalgia della madre Africa e l'eredità ineludibile della cultura europea, Aimé Césaire, nato in Martinica nel 1913, ha prodotto diverse opere teatrali, che per lo più declinano variamente il tema della rivolta. Una stagione nel Congo rievoca la figura di Patrice Lumumba e la sua tragica parabola: dalla prigione di Elisabethville al ruolo di primo ministro del governo congolese indipendente; dalle polemiche con Hammarskjöld e con le Nazioni Unite, incapaci di impedire la balcanizzazione del Congo, sino alla spietata esecuzione da parte dei soldati del secessionista katanghese Ciombe, armati e sostenuti dalle potenze ex coloniali. Nel testo d'impianto volutamente didascalico, che scandisce con precisione le tappe di un'avventura storica, emerge a tratti, inconfondibile, la voce del Césaire poeta. È il caso della scena VI del secondo atto. Lumumba danza "nella penombra rosa e verde" con la bella Hélène Bijou, il cui canto sembra la voce stessa della terra natale: "Danzo cose d'ombra cavernosa / alle spine d'esilio il fuoco del sangue / brulichii infiammati, vivo di serpenti / (...) Danzo il fiore pavonia che fa la ruota attorno al sole quando ogni battito di ciglia dell'astro ravviva il violetto levigato del sangue facile. / Danzo l'allegria alla semina del sole, / dell'incongrua pioggerellina che pianta / il suo sorriso di rame disfatto nella carne aspra del mare". "Danzo l'insetto più bello di ogni altro nome - le risponde Lumumba - che sul guscio del frutto maturo insedia / oreficeria di pietra nera e di ossidiana, la sua sazia stanchezza".
Mariolina Bertini
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