Con “Gli spostamenti del desiderio” Raffaela Fazio affina ulteriormente la riflessione sul senso dell’esistere, costante pungolo della sua scrittura, partendo questa volta da una prospettiva inedita: il desiderio come forza che ricalibra il reale modificando di continuo la visione e orientando il passo. L’instancabile messa a fuoco operata dall’autrice avviene sia grazie all’immersione nella propria coscienza, sia tramite il confronto con il mondo, con la storia, con l’arte (qui, in particolare, con il cinema e con la letteratura). Un simile dialogo era avvenuto anche in libri precedenti: Midbar era ispirato a figure e narrazioni dell’Antico Testamento; Ti slegherai le trecce riprendeva archetipi femminili della mitologia greco-latina; Meccanica dei solidi faceva rivivere personaggi anonimi della storia recente, capaci all’improvviso di un eroismo grandioso. Sotto questo aspetto, ogni silloge di Raffaela Fazio, oltre ad essere uno scandaglio interiore, ha la consistenza di un quaderno morale. Non è un caso che “Gli spostamenti del desiderio”, che si aprono con un lutto irrimediabile e si nutrono di una materia profondamente autobiografica, febbrile e lucida al contempo, si concludano con alcune poesie ispirate al diario di Etty Hillesum, morta ad Auschwitz nel 1943, e alla sua testimonianza luminosa. Qualcosa, anche nel buio della storia, personale e collettiva, continua a bruciare in quel misterioso anfratto della coscienza in cui le forze del desiderio e dell’immaginazione, della lingua e della memoria non si arrendono alla crudezza dei fatti. Tra lo sguardo e la parola, tra ciò che si perde e ciò che risorge, è l’enorme materia del vivere con la sua energia rigenerante: «Tanto nero. / Ma solo / raggiunto il fondo / senti / che non ha materia. / È un foro. / Non dissimile / dal cielo». Giancarlo Pontiggia.
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