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Borges amava dire che la pampa assomiglia a una "parola infinita che è come il suono e la sua eco". Nel raccontarci il percorso di una doppia emigrazione quella dei tanos (gli italiani in Argentina) e quella dei che sudaka (gli argentini in Spagna) Marino Magliani insegue lo stesso ritmo di andate e ritorni su uno scenario molto più ampio, addirittura transatlantico. Romanzo di sguardi incrociati, da un lato all'altro dell'enorme "pozzanghera" che separa l'Europa e l'America, La spiaggia dei cani romantici narra la storia di un gruppo di giovani marginali, che hanno sogni grandi quanto il loro desiderio di viaggiare. Percorsi di formazione che iscrivono il libro nella lunga tradizione dei romanzi sulla giovinezza, ma nello stesso tempo sovvertono tale tradizione, poiché Magliani, così come il suo modello (quel Roberto Bolaño cui allude costantemente), non intende la Bildung dei suoi personaggi come un bagaglio di esperienze da acquisire progressivamente. Al contrario, ci presenta identità che crescono smarrendosi, fino a buttarsi via, come se quello che contasse non fosse mai ciò che si accumula, ma la possibilità di continuare a consumarsi e andare alla deriva. Tutto questo sempre con un'ironia selvaggia, che al termine del romanzo sposta la scena a quasi trent'anni più tardi, e ci presenta i personaggi sopravvissuti al loro stesso furore, che ricevono in sorte una seconda vita completamente diversa. Lo spaesamento nello spazio diventa allora spaesamento nel tempo: un genere di allontanamento in cui a cambiare non sono più i paesaggi, ma "gli occhi che li guardano". Scopriamo così che il romanzo ruota intorno a una memoria intimamente dialettica, che conserva e cancella, nasconde e lascia riaffiorare. Una memoria che prospera nei margini di ambiguità dello spazio raccontato e dunque gioca con i lettori, accompagnandoli in un viaggio, questo sì degno di Bolaño, dentro gli inganni e le seduzioni della parola.
Luigi Marfè
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