Questo libro rivisita i concetti di confine e traduzione per esplorare la possibilità di creare e immaginare forme di collettività fondate sulla differenza e forgiate nella lotta contro regimi, dispositivi e istituzioni di confinamento. I confini recingono lo spazio sociale e geopolitico e dividono le persone che vi dimorano. La traduzione crea un ponte tra persone separate dalla differenza linguistica. Questa separazione può corrispondere a un confine territoriale o a un confine linguistico che divide le persone che si trovano in uno stesso luogo. Quando traduciamo, presupponiamo che le lingue coinvolte e coloro che le parlano costituiscano entità separate ed esterne l'una all'altra, da cui la necessità della traduzione. E se invece decostruissimo le norme che definiscono tali confini? Cosa dire delle collettività che attraversano e sono attraversate dalle loro linee di demarcazione? Sono possibili altre concezioni e rappresentazioni della traduzione? E se sì, che differenza fanno? I confini non corrispondono soltanto alle linee di demarcazione dei territori degli Stati sovrani. Sono dislocati su una molteplicità di frontiere e criteri di discriminazione. I confini che inscrivono lo spazio sociale non sono necessariamente fisici o visibili: sono luoghi di regolamentazione, controllo e conflitto non solo del movimento delle persone, ma anche di diverse modalità di inclusione ed esclusione. Queste linee di confine possono essere tracciate in modi differenti, a seconda dei discorsi e dei progetti sociali, politici e culturali a cui sono asservite. Inoltre, l'esperienza che se ne fa è diversa a seconda della posizione che viene assegnata o che si assume in termini di nazionalità, etnia, classe, genere, razza e altre divisioni e segni della nostra identità sociale.
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