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scheda di Bertini, M., L'Indice 1997, n. 8
Non c'e forse periodo della storia francese che più del Secondo Impero sia funestato da una visione dell'eros gretta, opprimente e tetra. L'ossessione della prostituzione - così sensibile in Baudelaire e Flaubert - sembra permeare integralmente i rapporti tra i sessi, cui non resta nessun margine di libertà, di allegria, di gioco intellettuale. Sotto questo profilo, i "Souvenirs d'une cocodette" si possono considerare esemplari: narrano in prima persona l'esistenza di Aimée, una signora del bel mondo che, per soddisfare i propri gusti lussuosi in materia di eleganza, passa dalle braccia di un maturo marito erotomane a quelle non meno flaccide di facoltosi banchieri e pingui agenti di borsa. Non è certo che all'origine di questo testo ci sia proprio Ernest Feydeau, il vanitosissimo autore di un romanzo realista - "Fanny" - che i contemporanei paragonarono a "Madame Bovary": certo Feydeau, antico agente di borsa, sposato in seconde nozze con una splendida e compiacente bellezza polacca che pare avesse l'hobby di rubare pizzi nei grandi magazzini, conosceva bene gli ambienti descritti in queste pagine e amava narrare a Edmond de Goncourt aneddoti dei più scabrosi. È un po' curioso da parte dell'estensore del risvolto di copertina esortare i lettori di questa edizioncina (tradotta alla perfezione) a non confondere Ernest Feydeau con "l'omonimo Georges, celebre per i "vaudevilles"", tacendo che il romanziere era semplicemente il padre del futuro uomo di teatro; l'"omonimo Georges" avrebbe trasformato, qualche anno dopo, in un balletto allegramente surreale quel mondo degli adulteri borghesi dipinto dal padre con tanto greve e burocratico cinismo.
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