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È un romanzo che merita di essere letto, non foss'altro che per la complessa rete di problemi che solleva. La vicenda, narrata in prima persona, si svolge durante la seconda guerra mondiale e racconta la deportazione di una francese nata in Martinica, inizialmente arrestata perché alloggiata presso una famiglia di ebrei poi, nei campi, esclusa tra gli esclusi perché di pelle nera. Al di là delle vicende strazianti ancora più terribili perché coinvolgono anche i due figli della protagonista, già nati senza padre a causa dei pregiudizi razziali nei confronti della madre colpisce il lavoro di ricerca che ha portato l'autrice a scrivere questo romanzo. La motivazione ideologica principale è stata quella di attirare l'attenzione sulle "altre" vittime dell'Olocausto, e in particolare sui neri. Michèle Maillet, conosciuta come attrice ed ex giornalista, ha voluto però dare una carica romanzesca ai dati che è riuscita a reperire, e ha scelto di raccontare anche i sogni, le aspettative e le speranze della sua protagonista. Attraverso stralci delle pagine di un diario scritto di nascosto, il lettore scopre che la donna trae la forza per continuare a vivere proprio dalle sue origini. Sidonie pensa alla sua Martinica perduta e la contrappone a quel mondo privo di colore e di dignità umana che costituisce il campo di concentramento. Soprattutto, mobilita la sua memoria ancestrale, trae le risorse per reagire all'orrore dei campi dall'orrore della schiavitù che afflisse i suoi avi. La consapevolezza storica si fonde con l'attaccamento alle tradizioni, e la donna finisce per rivolgersi ad Agénor, simbolo della negritudine e delle radici culturali. Il tragico finale, non certo inaspettato, è il più efficace stimolo alla riflessione. Paola Ghinelli
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