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«Le "Lettere dai manicomi" dello scrittore francese testimoniano la discesa agli inferi di un genio. Ma davvero è inscindibile il rapporto tra creatività e disagio psichiatrico?» – Davide Brullo, il Venerdì - la Repubblica
«Sono nato solo dal mio dolore» scrive Antonin Artaud in una lettera spedita dall'istituto psichiatrico di Rodez. L'epistolario ha sempre avuto per Artaud la valenza di una rappresentazione teatrale, sostenuta da un gioco delle parti che vede nel ruolo del protagonista lo stesso mittente e in quello del pubblico il destinatario. Ma, come nel "teatro della crudeltà", questi ruoli si possono invertire e chi assiste allo spettacolo può diventare protagonista o, se non altro, comprimario sulla scena. Questa scelta di lettere, in gran parte inedite in italiano, testimonia il grado di sofferenza, protrattosi per quasi un decennio, a contatto con le realtà manicomiali più varie - da Sotteville-lès-Rouen a Sainte-Anne, da Ville-Évrard a Rodez - che prostreranno Artaud moralmente e fisicamente. Un capitolo a parte meritano i sorts, messaggi dal potere taumaturgico inviati a un numero selezionato di corrispondenti. Si tratta di scritti dal tono profetico e spesso enigmatico, accompagnati da particolari interventi grafici, tra cui lacerazioni e bruciature che sembrano prefigurare i tardi disegni dove immagine e parola si integrano a vicenda. Pervasi da un trasporto mistico che verrà polemicamente abiurato nell'ultimo periodo di vita, questi testi costituiscono uno splendido esempio dell'autenticità con la quale Artaud visse l'esperienza della follia e della reclusione, non a caso paragonata alla «deportazione». Qui si toccano gli estremi di una preghiera cadenzata sull'invettiva più triviale, in una sorta di religiosità pagana che non ha precedenti negli specimina letterari novecenteschi. Pasquale Di Palmo
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