Ivo Soldini (1945) rappresenta l’originale prodotto di un proficuo e continuo scambio tra le sue origini svizzere e la sua attività, che si svolge in gran parte in Lombardia. Nel ’73 tiene già personali e collettive in sedi importanti come l’Art di Basilea, studia da autodidatta dopo aver frequentato sia l’Accademia di Brera che i corsi di critica d’arte dell’Università Statale, gira il Nord Europa per assorbire gli umori artistici più vivaci, intreccia rapporti con artisti e uomini di cultura, ma soprattutto si concentra sul lavoro, facendo della sua casa-atelier il centro del mondo e dedicandosi prima brevemente al disegno e alla pittura e poi in modo totale alla scultura. Da allora molteplici sono le opere pubbliche commissionategli da musei, chiese, istituzioni, banche soprattutto svizzere e tedesche.La critica, soprattutto svizzera e tedesca, che da anni ha valutato con grande favore il suo lavoro, cita vari maestri cui Soldini senz’altro si è riferito: Giacometti e Germaine Richier per la predilezione della figura umana, Broggini o Paganin per l’indagine psicologica delle sue opere, Wotruba per la natura solida e spesso geometrica delle forme e ancora Arturo Martini o Marino Marini. Ma ciò che dall’inizio lo caratterizza è il suo attaccamento all’essenza terrena dell’uomo, all’espressione delle esperienze di vita primarie, alla solitudine di fronte al dolore, all’estrema fragilità della vita, motivi universali e perciò immediatamente percepibili.Sia che scolpisca le grandi donne verticali che le enormi teste rugose, sia che lavori alle figure inclinate o ai piccoli gruppi intrecciati o alle masse compatte di esseri dalle tante teste e dai corpi informi e uniti, tutto riconduce all’uomo, al suo percorso terreno, alla fatica di vivere, di esserci, alla finitezza dell’esistenza.
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