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«Perché Trasanna rimane ancora nell’ombra?». Se lo chiedeva nel 1939 Giorgio Caproni recensendo entusiasta Annate, l’opera poetica con cui esordì questo pugile friulano, divenuto scrittore dopo la folgorante scoperta della cultura e dei libri, appassionatamente divorati tra un ring e l’altro.
Giulio Trasanna da quel cono d’ombra non uscirà mai, neppure nei decenni successivi, e la sua vita sarà sempre quella di un irregolare, di un intellettuale e artista borderline, si direbbe oggi. Eppure, instancabile animatore della vita culturale milanese fra gli anni Trenta e i primi Sessanta, fu conosciuto e ammirato da molti protagonisti del Novecento italiano per la natura libera e appassionata, sempre controcorrente, del suo percorso umano e artistico. Soldati e altre prose (1941) è il suo libro maggiore, e uno dei più interessanti della tarda età fascista: un’opera di rara potenza espressiva, ricordo della Grande Guerra, della ritirata del Friuli e dei giorni di Vittorio Veneto vissuti da bambino; ma anche rilettura di quei fatti alla luce delle successive vicende italiane. Una storia che lo interessava in quanto documento della vita delle masse, degli ultimi e dei dimenticati, esemplare per capire l’Italia intera e non solo il suo amato Nord-est; una storia che seppe restituire in una prosa scarna, essenziale, vibrante di tensione nervosa e tenerezza trattenuta. «Non amare la letteratura ma servitene per te e per gli uomini»: era questa l’idea che della cultura aveva Giulio Trasanna.
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