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"Difficile dire cosa sia la mitezza, se questi sono tempi di collera, di intranquillità, di mali che si fanno forti della docilità, della passività cittadina". Così esordisce Barbara Spinelli in questo libro che è sia una meditazione sulla mitezza, sia un elogio del carattere mite, sia un excursus letterario e filosofico sulle rappresentazioni che questa particolare disposizione d'animo e atteggiamento comportamentale ha trovato nella cultura universale dalle sue origini. Se " 'mite' significa originariamente 'maturo' o 'molle': si dice della frutta...", è evidente che non sempre il termine ha avuto nell'immaginario collettivo un'accezione positiva. Per persona mite si intende abitualmente un perdente, una figura remissiva, mansueta, rinunciataria, umile, passiva, docile: insomma, "ammansita". Ma l'autrice sottolinea con veemenza l'energia "diversa ma ugualmente intensa" che anima i miti: "una forza concentrata, riluttante all'aggressione, ma non priva di ribellione". E si sofferma ad esaminare le più importanti incarnazioni di forza, convinta indipendenza di giudizio, capacità di resistenza, rifiuto di qualsiasi succube obbedienza al potere o adeguamento alla condotta dei più: da Mosè a Gesù a Gandhi... Solidali con l'altro, animati da spirito profetico, possessori di una letizia interiore che deriva dal consapevole dominio delle proprie virtù (pazienza, perseveranza, semplicità e misericordia, in primis), i miti non rifuggono dal mondo e dall'impegno civile o politico: solamente, non ne fanno un mezzo di dominio, sopraffazione e imposizione di sé. La loro "libertà consiste nel sopportare la necessità... non è apatia ma pathos e com-passione". Forse è eccessivo fare di loro degli estatici, dei dionisiaci danzanti, come suggerisce Spinelli. Ma è vero che essi "erediteranno la terra", secondo Mt 5,5: chiamati "ad agire qui in basso, ora", salvando persino la violenza da se stessa.
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