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Illeggibile, pieno di citazioni confuse, senza capo né coda. Un vero peccato perché l'argomento era molto interessante.
Molto impegnativo e troppo tecnico. Adatto soltanto agli specialisti.
Tremendo. Incomprensibile. Ipertecnico, prolisso, senza meta: un vagabondare di esempi, citazioni, riferimenti e connessioni maldestramente disposte al fine di sostenere tesi espresse poco chiaramente.
Recensioni
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Qualcuno si sarà certo chiesto come mai una parte dei negazionisti "storici" venga dall'estrema sinistra, in particolare dalle eresie del bolscevismo, trockismo e bordighismo. Tanto che c'è da chiedersi se non esista un filo comune che lega anticapitalismo e antimperialismo da un lato e antisemitismo dall'altro. Il tema è stato studiato molto, anche se non da lungo tempo: per la Francia i lavori di Zeev Sternhell risalgono alla fine degli anni settanta, e allora ebbero un effetto di rottura importante, al di là di non pochi schematismi dello storico israeliano. Eppure il socialismo, sia quello precedente alla II Internazionale sia quello della Belle Époque, si trovò non poco ad avere a che fare con l'antisemitismo.
Non a caso, quella che ispira il titolo al libro di Battini è appunto una frase attribuita al leader della socialdemocrazia tedesca della fine XIX secolo, August Bebel, secondo cui l'antisemitismo era "il socialismo degli imbecilli". L'antisemitismo che si trovavano di fronte Bebel in Germania, Viktor Adler in Austria e Jean Jaurès in Francia era infatti un movimento non solo assai robusto, capace di spingere alla mobilitazione delle piazze, ma anche in grado di rivolgersi alla clientela politica socialista, le masse operaie e contadine, perché ricco di una retorica anticapitalistica. Antisemitismo e anticapitalismo, anzi, sembravano in quel periodo più intrecciati che mai. È all'origine e allo svolgersi genealogico di questo intreccio che è dedicata larga parte del volume, mentre l'ultima sezione tratta di questioni comunque attinenti come la Shoah e il negazionismo. Con un metodo esplicitamente debitore nei confronti di Carlo Ginzburg, tutto volto a scoprire tracce e a seguire piste apparentemente secondarie, Battini mostra come l'origine dell'antisemitismo moderno vada cercato nella reazione alla Rivoluzione francese e in particolare all'universalismo politico e all'individualismo religioso, morale ed economico, introdotti dai "grandi principi" dell'89 (e dal codice napoleonico). In questa reazione, l'ebreo diventò il simbolo dell'individualismo sganciato dalla religione e soprattutto del capitale senza terra e senza volto, a cui gli antisemiti anteposero una comunità resa coesa dalla religione, dalla razza ma anche dal controllo sugli strumenti della ricchezza. Con molte ragioni, Battini trova le tracce di questo discorso nel controrivoluzionario Bonald e in particolare in un suo testo poco conosciuto, Sur les juifs (1806).
La catena significante antisemita naturalmente evolve e si potenzia via via che il capitalismo si diffonde in Europa, fino a esplodere nella Belle Époque, con Edouard Drumont in Francia, e tutto l'antisemitismo cristiano-sociale in Germania, ma soprattutto nell'impero austro-ungarico, a cominciare da Vienna. In mezzo, diversi socialisti, da Fourier al caso più noto di Proudhon, passando per il primo vero autore compiutamente antisemita, il fourierista Alphonse Toussenel autore di Les juifs rois de l'époque (1847), socialista militante durante la rivoluzione del '48 in Francia. Questo spiega come mai, nella Francia fin-de-siècle dell'affare Dreyfus, Jaurès, venuto al socialismo dopo essere stato deputato repubblicano moderato, dovette faticare non poco per spingere i suoi compagnons a manifestare per la causa del capitano ebreo, mentre il marxista Jules Guesde, il genero di Marx Paul Lafargue, e soprattutto i blanquisti, erano convinti che la campagna "filo-semita" avrebbe allontanato le masse operaie dai socialisti. In tal senso, anche se Marx e il marxismo delle origini polemizzarono con l'antisemitismo, non si può dire che abbiano completamente anestetizzato i socialisti dalla tentazione antisemita. Come si vede nel caso di Paolo Orano, a cui Battini dedica un intero capitolo, che, da sindacalista rivoluzionario, lettore dei testi di Marx, fu colui che nell'Italia giolittiana importò il paradigma dell'antisemitismo come socialismo nazionale, per diventare ovviamente fascista pochi anni dopo. Per non citare poi il caso più famoso, quello di Georges Sorel, acuto lettore di Marx, il cui antisemitismo non aveva nulla a che fare con quello di Drumont e di Maurras, ma che comunque antisemitismo era, tanto da essere sia pure per pochi anni tentato dal potente discorso dell'Action française.
Il processo si ferma con la Grande guerra, ma sarebbe interessante saperne di più (gli sguardi in avanti di Battini riguardano solo casi marginali). E magari ci si potrebbe avvicinare alla più stretta contemporaneità e chiedersi come mai, negli ultimi decenni, la sempre più marcata ostilità della sinistra (non solo quella italiana e non solo quella estrema) nei confronti di Israele abbia, più o meno involontariamente, aperto le porte a retoriche che albergavano negli anfratti delle memorie più lontane.
Marco Gervasoni
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