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Viene tradotto in italiano l'agile volume che Ilan Greilsammer fa ha dedicato al sionismo. Si tratta di un testo apprezzabile sia per la chiarezza espositiva che per la facile consultabilità, elementi che lo candidano a essere utilizzato per fini didattici, ma anche come manuale per la comprensione del movimento politico da parte di un ampio pubblico. La tesi di fondo, sostanzialmente condivisibile, è che il sionismo sia il prodotto dell'interazione dialettica di tre fattori: l'incontro degli ebrei con la modernità (ovvero l'aspetto antropologico), l'evoluzione della prassi antisemitica e il conseguente spostamento di un grande numero di individui dai loro paesi d'origine (il dato demo-sociologico) e, in ultima analisi, la vocazione messianica condivisa da una parte della diaspora (il fattore mitopoietico). Dalla miscela di questi elementi si origina, in campo ebraico, un pensiero prima, e una istanza politica poi, basati entrambi sull'aspirazione a una soluzione territorialista del problema identitario. Elemento, quest'ultimo, che fonda da sempre l'unità e, specularmente, la propensione centrifuga di una molteplicità di comunità tenute insieme dalla coscienza della divisione. Paradosso della contemporaneità, in fondo. Non è un caso se è proprio dalla diaspora ebraica che, nel corso del tempo, si siano levate le voci più critiche alla proposta sionista. Chi da tempo studia il fenomeno del nazionalismo in campo ebraico sa bene che sarebbe peraltro meglio parlare di "sionismi", utilizzando il plurale. Con correttezza, infine, Greilsammer separa il sionismo dallo Stato d'Israele. Poiché il primo alimenta il secondo e non viceversa, come si è tentati di credere quando dai fatti si passa alle costruzioni mitologiche.
Claudio Vercelli
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