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Sinistrati. Storia sentimentale di una catastrofe politica

Descrizione


I sinistrati siamo noi. Brutalizzati alle elezioni, battuti culturalmente, spintonati ai margini di una società cattiva. Alcuni legati a un'idea troppo razionale di riforme difficili, altri pervasi dalla nostalgia di rivoluzioni impossibili. Risultato: vinceranno sempre gli altri. Perché noi siamo fuori tempo, fuori moda, fuori gioco. E con la triste euforia degli esclusi, fra l'autolesionismo e l'autocompatimento, ci prepariamo a diventare una minoranza permanente. Ma non è colpa nostra: scienziati autorevoli hanno dimostrato che si è di sinistra per via del Dna. C'è di mezzo un dannato gene altruista. Come dire che siamo fessi per natura. Per questo il Partito democratico ha sbagliato tutte le strategie, si è illuso di vincere, si è schiantato contro Berlusconi, e dopo la batosta non ha ancora deciso se sopravvivere a una sconfitta storica o lasciarsi naufragare. Ci vorrebbe una cultura, un leader, uno schema politico. Ci vorrebbe almeno un'idea. Invece, i riformisti non hanno ancora un programma e gli estremisti non hanno più un peso. Di idee, non se ne parla più. Edmondo Berselli descrive, con affetto, la storia e la malattia dei sinistrati italiani, e formula senza pietà la relativa diagnosi. L'Italia va a destra, ritrova nel partito di Berlusconi il clima confortevole di una Dc senza preti, mentre le corporazioni prosperano e la concorrenza latita. C'è una speranza per la sinistra e i sinistrati? Oppure li attende un deserto infinito, e la condanna di attraversarlo fra miraggi crudeli?
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Dettagli

2010
Tascabile
9 febbraio 2010
208 p., Brossura
9788804592839

Valutazioni e recensioni

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Tullio Pascoli
Recensioni: 3/5

Lettura spiccia e piacevole se non fosse per i sarcastici attacchi ai destri come Berlusconi, Reagan Thatcher ed altri economisti liberali. L’autore mostra una notevole erudizione, citando pure autori che la stragrande maggioranza degli Italiani ahimè non conosce ma sue ironie agli economisti della Scuola Austriaca o di Chicago non sono condivisibili. Stile e linguaggio molto divertente, ma esagera negli elogi a Prodi come se fosse un genio, conclusione a cui di certo proprio nessuno a Bruxelles o a Friburgo convaliderebbe. Interessanti le critiche alla sinistra, ma mostra in modo chiaro le sue preferenze per le tesi keynesiane già confutate da Hayek fin dai tempi del loro confronto alla conferenza di Bretton Woods. Lo statalismo di Keynes non resiste nemmeno agli attacchi di Ludwig von Mises né di Fiedman (Milton e David). La modernità, inoltre, va sempre più verso le preconizzazioni di Frédéric Bastiat che oltre 150 fa suggeriva la privatizzazione di quei servizi che oggi sono espletati dal potere pubblico che, come si sa, li gestisce male. Cosa che i nostri manifestanti sulle barricate, con i loro assalti ai monumenti e nei girotondi non comprendono. Come Popper insegna, la conoscenza non ha fine e non si esaurisce; e la torta della ricchezza non è di dimensione finita: aumenta con il capitale umano. In fine, l’autore cambia il nome di Porto Alegre in "Puerto Alegre"; errore imperdonabile commesso solo da chi non conosce il Brasile: poteva scrivere "Porto Allegro" (all'italiana) oppure "Fröhlicher Hafen" (alla tedesca) già che lo stato di Rio Grande do Sul è formato al 90% da oriundi italiani (50%) e tedeschi (40%) di 3ª, 4ª e 5ª generazione e la versione in spagnolo non esiste, lingua considerata dei "gringos (Argentini ) che in Brasile non sono amati. Peccato che Berselli se la prenda tanto con Berlusconi ed i suoi accoliti, mentre non cita i sinistrati che difendevano le invasioni sovietiche di Budapest, Praga e difendono perfino Fidel Castro.

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Tullio Pascoli
Recensioni: 3/5

Lettura spiccia e piacevole se non fosse per i sarcastici attacchi ai destri come Berlusconi, Reagan Thatcher ed altri economisti liberali. L’autore mostra una notevole erudizione, citando pure autori che la stragrande maggioranza degli Italiani ahimè non conosce ma sue ironie agli economisti della Scuola Austriaca o di Chicago non sono condivisibili. Stile e linguaggio molto divertente, ma esagera negli elogi a Prodi come se fosse un genio, conclusione a cui di certo proprio nessuno a Bruxelles o a Friburgo convaliderebbe. Interessanti le critiche alla sinistra, ma mostra in modo chiaro le sue preferenze per le tesi keynesiane già confutate da Hayek fin dai tempi del loro confronto alla conferenza di Bretton Woods. Lo statalismo di Keynes non resiste nemmeno agli attacchi di Ludwig von Mises né di Fiedman (Milton e David). La modernità, inoltre, va sempre più verso le preconizzazioni di Frédéric Bastiat che oltre 150 fa suggeriva la privatizzazione di quei servizi che oggi sono espletati dal potere pubblico che, come si sa, li gestisce male. Cosa che i nostri manifestanti sulle barricate, con i loro assalti ai monumenti e nei girotondi non comprendono. Come Popper insegna, la conoscenza non ha fine e non si esaurisce; e la torta della ricchezza non è di dimensione finita: aumenta con il capitale umano. In fine, l’autore cambia il nome di Porto Alegre in "Puerto Alegre"; errore imperdonabile commesso solo da chi non conosce il Brasile: poteva scrivere "Porto Allegro" (all'italiana) oppure "Fröhlicher Hafen" (alla tedesca) già che lo stato di Rio Grande do Sul è formato al 90% da oriundi italiani (50%) e tedeschi (40%) di 3ª, 4ª e 5ª generazione e la versione in spagnolo non esiste, lingua considerata dei "gringos (Argentini ) che in Brasile non sono amati. Peccato che Berselli se la prenda tanto con Berlusconi ed i suoi accoliti, mentre non cita i sinistrati che difendevano le invasioni sovietiche di Budapest, Praga ed esaltano perfino Fidel Castro.

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Lorenzo Panizzari
Recensioni: 3/5

Anni fa il Milan dopo 45' vinceva 3-0 la finale di Champions; nel secondo tempo il Liverpool rimontò e vinse ai rigori. Il giorno dopo Paolo Cavallone su R101 (anche lui milanista) riuscì cmnq a farci ridere tutti. Berselli fa la stessa cosa dopo la bastonata delle elez2008. Poi spazia dal '70 al futuro, con ironia sempre di buon livello, colta, mai sguaiata o banale, in un giusto equilibrio tra italianità e cultura alla W.Allen, con un linguaggio moderatamente ricercato. Libro estivo, buono per pensare a qualcosa ma senza troppo impegno. Diventa pesante tra pag 40 e 77 (si concentra sulla storia da Togliatti al '90), ma si riprende poi facilmente: l'autore dà il meglio nell'analisi sociopolitica da Berlusconi in poi e nel processo di metamorfosi del PCI nell'attuale PD. Difetto: troppo morbido verso la Chiesa e verso i Sindacati; entrambi citati, ma passano indenni in confronto a partiti e personaggi. Pregio: critica sociale e sarcasmo politico (per motivi diversi) equamente distribuiti tra dx e sx. Molto ironico ma serissimo il blocco conclusivo composto dai Cap. 21-25, con critica non solo sociale sugli eventi accaduti, ma anche prospettica. In particolare spiccano: la descrizione del processo a valanga dal reaganismo alla crisi dei mutui subprime, la critica ai giovani adagiati sulla loro condizione, il blocco della mobilità sociale italiana.

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Conosci l'autore

Edmondo Berselli

1951, Campogalliano

È stato giornalista e scrittore italiano. Ha collaborato con i principali quotidiani e periodici italiani come «Il Messaggero», «La Stampa», «la Repubblica» e «L'Espresso»; è stato direttore della casa editrice il Mulino, dove ha poi diretto la rivista omonima. Ha pubblicato nel 1995 il volume L’Italia che non muore e un saggio sull’eccentricità, Il più mancino dei tiri, dedicato a Mario Corso, ripubblicato con una postfazione nel 2006. Tra i suoi libri vanno ricordati inoltre: Post italiani. Cronache di un paese provvisorio e Quel gran pezzo dell'Emilia. Terra di comunisti, motori, musica, bel gioco, cucina grassa e italiani di classe, entrambi per Mondadori (2004). Nel 2005 ha pubblicato...

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