I sinistrati siamo noi. Brutalizzati alle elezioni, battuti culturalmente, spintonati ai margini di una società cattiva. Alcuni legati a un'idea troppo razionale di riforme difficili, altri pervasi dalla nostalgia di rivoluzioni impossibili. Risultato: vinceranno sempre gli altri. Perché noi siamo fuori tempo, fuori moda, fuori gioco. E con la triste euforia degli esclusi, fra l'autolesionismo e l'autocompatimento, ci prepariamo a diventare una minoranza permanente. Ma non è colpa nostra: scienziati autorevoli hanno dimostrato che si è di sinistra per via del Dna. C'è di mezzo un dannato gene altruista. Come dire che siamo fessi per natura. Per questo il Partito democratico ha sbagliato tutte le strategie, si è illuso di vincere, si è schiantato contro Berlusconi, e dopo la batosta non ha ancora deciso se sopravvivere a una sconfitta storica o lasciarsi naufragare. Ci vorrebbe una cultura, un leader, uno schema politico. Ci vorrebbe almeno un'idea. Invece, i riformisti non hanno ancora un programma e gli estremisti non hanno più un peso. Di idee, non se ne parla più. Edmondo Berselli descrive, con affetto, la storia e la malattia dei sinistrati italiani, e formula senza pietà la relativa diagnosi. L'Italia va a destra, ritrova nel partito di Berlusconi il clima confortevole di una Dc senza preti, mentre le corporazioni prosperano e la concorrenza latita. C'è una speranza per la sinistra e i sinistrati? Oppure li attende un deserto infinito, e la condanna di attraversarlo fra miraggi crudeli? )
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