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Insuperabile capolavoro sul difficile e millenario confronto tra la sensibilità femminile e quella maschile. Con queste pagine cariche di poesia, prondità e allo stesso tempo leggerezza, la signora Ulickaja si conferma una delle più interessanti scrittrici viventi.
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Mentre in Russia impazza il suo ultimo libro dedicato a un uomo eccezionale per coraggio e originalità intellettuale e spirituale (Daniel Stein, traduttore), in questo romanzo Ljudmila Ulickaja racconta tutta un'altra storia. Tombeur de femmes suo malgrado, urik (uno dei diminutivi del nome Aleksandr) è un classico esemplare di bravo ragazzo. Cresciuto in una tipica famiglia sovietica composta di sole donne, la madre e la nonna, è venuto su educato e servizievole, con un complesso che lo porta a dover sempre accontentare tutti per sentirsi in pace con se stesso. Le donne ne approfittano, intuiscono facilmente qual è il segreto di urik e ne fanno il proprio galoppino. Le giornate di urik, per il quale, curiosamente, è la compassione a scatenare il desiderio fisico, diventano una ridda infernale di piccole incombenze, medicine da trovare, pacchi da recapitare, cibi da acquistare, faccende domestiche da sbrigare, sempre per conto delle "sue" donne, cui si aggiunge la madre, che maschera dietro un aspetto fragile e un atteggiamento teatrale la propria inconcludenza e pretende che il figlio le faccia da cavalier servente.
Ulickaja ha ideato un personaggio singolare, un antieroe maschile in un universo che sembra popolato soltanto da donne. È un'immagine inedita, questa Mosca-gineceo in cui a urik sembra essere preclusa una vita propria, fuori dall'orbita della vecchia Matilda e dei suoi gatti, di Valerija con gli occhi azzurri e una gamba più corta di sette centimetri, di Svetlana perennemente sull'orlo del suicidio, di Alja la kazaka che non vuole tornare nella sua sperduta provincia
Tutte queste donne, ognuna con la propria disgrazia, sono patetiche ma molto più forti di quanto non vogliano apparire e finiscono con il soffocare urik, invischiandolo nella rete inestricabile delle loro necessità.
Con la finezza psicologica che contraddistingue la sua scrittura, Ulickaja descrive il graduale ripiegamento domestico di urik, l'acquiescente schiavitù verso cui scivola quasi impercettibilmente e la sua drammatica incapacità di amare. È l'oggetto di passioni non desiderate, reagisce eseguendo quanto gli viene richiesto sull'onda della compassione, ma invecchia prima del tempo senza più riuscire a provare le emozioni del suo primo e unico amore per Lilja: la passione struggente, le passeggiate notturne nella vecchia Mosca, i baci furtivi negli androni dei palazzi, i discorsi interminabili, i castelli in aria. urik è condannato a recitare, come in una cattiva commedia, sempre lo stesso ruolo, quello di "missionario del sesso", e anche quelli che dovrebbero essere i passi importanti della sua vita sembrano avvenire per caso: si sposa per salvare la reputazione di una compagna di corso incinta il cui compagno è prigioniero a Cuba, si ritrova in casa un'adorabile bambina che però non è figlia sua, ha molte amanti, che vogliono essere incessantemente consolate, senza averne scelta neanche una.
Da questa sorta di torpore in cui è immerso e da cui tutto risulta opacizzato, urik si riscuote improvvisamente solo quando, per qualche giorno, ricompare la mai dimenticata Lilja, emigrata con la famiglia in Israele. È il momento culminante del romanzo, in cui finalmente i lettori possono scoprire se il destino di urik è davvero cosi immutabile.
Giulia Gigante
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