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L'uomo che seppe dare inchiostro al buio, l'uomo che da un letto di malattia senza guarigione strappò alla coscienza, al sogno, a un nuovo se stesso (migliore, perché appunto trafitto), uno dei pensieri più ricchi e poeticamente insuperati di un secolo intero. Una vita spezzata ricomposta in taccuini impareggiabili, l'essenza di uno smacco fatale, di un'infelicità senza uscita travolta dal genio della soluzione: la scrittura, insospettata materia prima dell'incidente, poi madre e sangue di ogni suo gesto. Una camera uguale a una bottega, libri, carte, appunti spasi su questo letto come alleati fedelissimi a edificare luce dal travaglio, e quest'uomo smagrito, provatissimo, che lascia germogliare da cicatrici di genio poemi e lettere di smisurata meraviglia. Conosciamo ancora poco di Joe Bousquet, l'invalido di Carcassonne, che ebbi la fortuna di scoprire (ormai posso dire non più casualmente) a diciannove anni e che sconvolse la mia vita. "Bisognerebbe nascere di lato, e farsi notare per gli sforzi compiuti a entrare nella fila". E' il ritratto del suo destino, la corsa di una vita che si conosce prestissimo, che tocca subito una frattura interiore, un segno per niente uguale a intagliare il suo spirito, fino al corpo a corpo fra parola e volontà, l'intero e i frantumi, i parti poetici "sul fianco oscuro dello sguardo". Dal fondo di una carenza assoluta, la spinta a entrare ugualmente dentro la vita, a comprenderne i raccolti e le attese, i maneggi di un'ombra, i castighi, l'amore più trascinante: "Simile a ogni persona vivente, la verità non conosce il proprio sembiante. C'è ben poco da cavarne se ci concede di capire solo quel che essa stessa conosce". Era nato per questa prova, per questa sfida, un limite che non ama di meno tutte le sue giunture, ma le allarga nell'unicità di una voce sublime, nell'obbedienza a un fuoco che egli saluta e onora come la vera chiamata, perché davvero lo farà rinascere. Dai cocci del silenzio il poeta salva la propria ferita.
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