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dalla postfazione di Massimo Sannelli Su un artificio Essere pasoliniani e nascere nel 1980 è quasi una contraddizione (ed è già radicalmente diverso dal mio stato di fratello lievemente maggiore, nato nel 1973). Significa nascere, e porsi, cronologicamente oltre il fatto che Pasolini fosse “nonno” della “generazione sfortunata” (e di Dutschke, a nome di tutta la generazione, come rimane scritto in Trasumanar e organizzar). E che cosa può significare il nome di Pasolini per chi è figlio dei nipoti del “nonno” ed è già nato all’interno della degradazione (antropologica e politica)? Credo che significhi, in una parola, osservare il PASSATO: un passato enorme e irreale, che comprende tutto, Pasolini e Tondelli (Altri libertini è dello stesso 1980), lo stragismo e la rivoluzione informatica, la nascita del CD e la scoperta dell’AIDS. Chiara Daino, nata nel 1981, ha piegato Pasolini ad un uso performativo-massacrante (a partire dalla Disperata vitalità, e aggiungendo qualsiasi cosa): come se Pasolini fosse già un Oggetto dato, e quindi modificabile (per inciso: il classico non è più la Cosa conservata pura e semplice, come fu – come si sta già conservando Luzi, morto da due anni e quasi morto due volte –, ma ciò che è modificabile e riadattabile: e gli attori lo sanno meglio di chiunque altro). Essere nati dopo la morte del Mito significa che quel Mito è tanto forte quanto astratto, o diffuso e polverizzato in un altro tempo – che può comprendere sia Shakespeare sia i fatti degli anni Novanta: in quanto quel tempo è il Passato esteso. Ma Lombardini confonde le acque, con testi umoristici e neo- o postcrepuscolari. Un trionfo di ibridazione retorica, quindi. Un eccesso di stridore, anche, per molte orecchie. E dire a ventisei anni che “poesia è artificio, opificio” significa anche rivendicare un’abilità che – contemporaneamente – differenzia Lombardini dai suoi antenati (“radici / contadine, umili, agresti”) e permette la continuazione del passato nella nuova storia. [...]
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