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Parole chiave: nostalgia, rimorsi, malinconia. Leitmotiv: panta rei, insensatezza dell'esistenza, anacronia, amori infelici. Libro meraviglioso. Sicuramente non per tutti, ma per chi ama le "tematiche" sopra menzionate, sicuramente un piccolo gioiello da recuperare. A mio parere, addirittura meglio del suo capolavoro più conosciuto e acclamato "Sostiene Pereira".
È facile perdere il filo, con questo Tabucchi. Sono lettere relativamente brevi, eppure, anche solo dopo dieci righe dall'esordio di ognuna, ti ritrovi a pensare ad altro. Allora torni 'ndrè e con maggiore concentrazione riprendi da dove il tuo pensiero aveva biforcato. 'Fatica' doppia, sí, ma allora capita che ti imbatti in frasi come questa: «Lo so che sto facendo un volo pindarico, e che tutto questo non ha logica, ma certe cose, lo sai, non seguono nessuna logica, o almeno una logica che sia comprensibile per noi che siamo sempre alla ricerca della stessa logica: causa effetto, causa effetto, causa effetto, solo per dare un senso a ciò che è privo di senso. È per questo, come direbbe il mio amico, che hanno scelto il silenzio le persone che nella vita in un modo o nell'altro hanno scelto il silenzio: perché hanno intuito che parlare, e soprattutto scrivere, è sempre un modo di venire a patti con la mancanza di senso della vita.» È uno zibaldone di registri e di pensieri; dal poetico al delirante, dal delicato e lineare all'ostico. In fin dei conti sono solo storie, belle o non belle che siano, scritte non necessariamente per essere lette, ma se capita di farlo, qualcosa di impalpabilmente bello lasciano.
Antonio Tabucchi ci manca. Per la sua scrittura gentile e profonda. In questo libro tocca temi molto importanti con delicatezza e intensità, con la grazie e l'asciuttezza del grandissimo scrittore.
Recensioni
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«Però può succedere che il senso della vita di qualcuno sia quello, insensato, di cercare delle voci scomparse, e magari un giorno di crederle di trovarle, un giorno che non aspettava più, una sera che è stanco, e vecchio, e suona sotto la luna, e raccoglie tutte le voci che vengono dalla sabbia.»
«La lettera è un equivoco messaggero», dice Tabucchi nel suo Post scriptum, e le diciotto lettere da cui è composto quest'ultimo romanzo (il sottotitolo è in questo senso esplicativo Romanzo in forma di lettere) rappresentano l'ambiguità del vivere e dell'amare in ogni sua forma e manifestazione. Le parole, strumenti essenziali della comunicazione letteraria, sono qui magistralmente utilizzate, con tutto il potere descrittivo ed evocativo che possiedono: rimandi, allusioni, citazioni, salti logici e parlato quotidiano, strofe di canzoni, modi di dire, linguaggio alto e aulico. Prova d'autore, quindi? No, in Tabucchi la discrezione e il silenzio costituiscono una componente importante della scrittura, così come della personalità, scevra da ogni attrazione per il circo mediatico che intorno agli scrittori si è affermato negli ultimi anni. Lettere d'amore: lo dichiara lui stesso e lo esplicitano le diverse dediche delle missive. Ma ugualmente lettere di solitudine e di lontananza, non nella formula dell'"amore lontano" di provenzale memoria, ma nella scelta di porre sia il ricordo di qualcosa di concluso, sia l'immaginazione per qualcosa di mai vissuto, al servizio di un'indagine sui sentimenti. «La memoria rievoca il vissuto, è precisa, esatta, implacabile, ma non produce niente di nuovo: è questo il suo limite. L'immaginazione invece, non può evocare niente, perché non può ricordare, ed è questo il suo limite: ma in compenso produce il nuovo, un qualcosa che prima non c'era, che non c'è mai stato.» Ciò che ha suggerito all'autore le varie tematiche delle lettere (scritte diciassette da uomini e solo una, l'ultima, da una donna) sono stati incontri, letture, episodi marginali della vita e spesso questi "suggerimenti" vengono esplicitati, altre volte l'allusione è più oscura, ma sempre risulta chiara la fonte: è il malessere del vivere, la difficoltà a realizzare nel presente i propri desideri. Per questo è il passato, reale o sognato, ad essere protagonista. L'abbandono, subito o attuato, la separazione dall'amata nata da una frattura (un tradimento, un rifiuto) o dal caso, più spesso appaiono invece dipendere dall'assenza definitiva dell'oggetto amoroso, cioè dalla morte, anzi dal suicidio della donna. Chi scrive non si chiede il perché del gesto, ne osserva invece le conseguenze su di sé: l'incompiutezza del sentimento, la fine irrevocabile del dialogo, l'impossibilità di riannodare un discorso interrotto.
Spesso c'è il rimpianto di aver rinunciato alla banale, ma rassicurante normalità che sa soddisfare tanti altri uomini, ma a questo si contrappone l'orgoglio della propria memoria, della propria unicità, e della capacità di vivere la quotidianità "come se" si fosse come gli altri, sapendosi diversi. L'orgoglio dell'intelligenza è, forse, l'orgoglio di saper usare le parole con maestria; proprio per questo è possibile ritrovare frasi del linguaggio comune, crude, intime, oppure frasi in francese, espressioni inglesi, termini tecnici o versi di canzoni, ma non si modifica il tono generale che resta alto.
La prima lettera, perfetta, indimenticabile nell'equilibrio tra descrizione reale e ambiguità del simbolo, avvia alla lettura di tutte le altre (voci diverse di un'unica vita?) e accenna a temi che altrove vengono pienamente sviluppati. Uno di questi mi sembra particolarmente interessante (con parola brutta, ma esplicita, si potrebbe dire "intrigante"): i ricordi più intensi e veri sono di ciò che non è stato. "Amore mio, ti ricordi quando non siamo andati a Samarcanda?": i sogni che più uniscono due persone sono quelli che non sono stati attuati, ma restano un segreto che non sarà mai condiviso con altri.
Tabucchi non sembra cercare nessun facile consenso, e in questo sta la sua grandezza ("preferisco di no" dice un suo personaggio) di certo l'autore preferisce non accarezzare né le orecchie di chi aristocraticamente cerca una letteratura d'élite, né di chi cerca nelle proprie letture una qualche forma di evasione e consolazione.
A cura di Wuz.it
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