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Quando, nella prima metà del Duecento, un signore di Deruta, presso Perugia, si rivolse al magistrato per intentare un’azione contro un contadino suo dipendente che si era allontanato dalla terra, non pensava che si sarebbe trovato a fronteggiare, al processo, una difesa esperta e agguerrita. Lasciata Deruta, il contadino aveva infatti accumulato fortune sufficienti per permettersi di rivolgersi a un avvocato d’eccezione: Iacopo Balduini, famoso professore dell’Università di Bologna. L’autorevolezza del difensore fece sì che la storia di quel processo fosse tramandata per secoli, affidata al margine di un manoscritto scolastico.
Da questo episodio prende le mosse il libro di Emanuele Conte in cui si analizza la presenza nella realtà sociale medievale di una costellazione di situazioni personali subordinate (manentes, homines alterius, servi glebae) che non è facile cogliere sotto il profilo giuridico, e che rappresentò un problema arduo per la cultura dell’età del diritto comune, trionfante nelle scuole e filtrata ampiamente anche nei tribunali.
Seguendo i percorsi suggeriti dalle fonti, il libro si lascia condurre lungo itinerari talvolta inattesi, che configurano le situazioni personali dei dipendenti rurali ora modellandole sul colonato basso imperiale, ora ponendo l’accento sulla fissità degli obblighi o richiamando talune soluzioni canoniche. Sullo sfondo, la società del basso Medioevo, cittadina e rurale, ecclesiastica e feudale: le sue esigenze materiali e le sue aspirazioni ideali animano le astrazioni dei giuristi, propongono problemi, suggeriscono soluzioni. Ne scaturisce un quadro mosso e variato, tutt’altro che dogmatico: un contributo che sollecita a sanare la separazione tra storia sociale e dimensione giuridica.
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