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Di Evelina Santangelo, siciliana, si conoscevano un libro di racconti e due romanzi, apprezzati e segnalati come da tenere in conto, con un ben definito e riconoscibile universo creativo: storie di personaggi angustiati da un destino avverso, in un italiano depurato da ogni inflessione dialettale. Ora giunge questo romanzo, terragno fin dal titolo, aspro, dal dialetto viscerale e quanto mai inaspettato. In mezzo la curatela (ma anche qualcosa di più, ai limiti di una compartecipazione alla scrittura) di Terra matta di Vincenzo Rabito (Einaudi, 2007), l'epopea di un semianalfabeta che ha sgomitato sui tasti della macchina da scrivere per mettere su carta la sua "vita molta maletratata e molto travagliata e molto desprezata".
Senzaterra (la terra come ossessione che ritorna) racconta di un paese della costa siciliana che è un grumo di cemento e di risentimento, terra di migranti: come i tanti che le onde rovesciano sulle spiagge, cadaveri molte volte; o come il padre di Gaetano, trasferitosi in Germania, dove ora vuole portare il figlio, per aprire un bar, ma il ragazzo, che è poi il protagonista, non vuole, per un giuramento fatto alla madre morta (per un cancro, sembrerebbe, colpa dei dissennati guasti ambientali della sua terra disgraziata) e perché, nonostante disprezzi il suo paese, non vuole distaccarsene. Controcanto, nel romanzo, alla figura del protagonista è Alì, giovane nordafricano tra i tanti sbarcati e che lavora, sfruttato come bestia, nelle serre che producono ortaggi gestite da un mafioso.
C'è un'attenzione, nel romanzo, al "mondo offeso" di vittoriniana memoria, già presente nelle sue opere precedenti, mai però con tanta forza espressiva. I personaggi appaiono in preda, il giovane protagonista in particolare, ad "astratti furori".
Se si trasceglie nel folto novero dei narratori siciliani di questi anni, si scopre che alcuni, e tra i più interessanti, hanno più di qualcosa in comune. Sono palermitani e tutti nati entro l'arco di dieci anni, tra sessanta e settanta, e hanno pubblicato romanzi, per qualche verso accomunabili, nel giro breve degli ultimissimi anni: Vittorio Bongiorno, Il bravo figlio (Rizzoli, 2006), Giacomo Cacciatore, Figlio di vetro (Einaudi, 2007), Giorgio Vasta, Il tempo materiale (minimum fax, 2008). E Senzaterra. Romanzi nei quali ritornano, come costanti, alcuni elementi nel racconto della realtà siciliana: un ricorso al dialetto non ammiccante, se mai sorvegliato e per lo più limitato alla voce dei personaggi, con il narratore che mantiene una medietà linguistica che tende alla neutralità: a segnare la distanza dalla realtà raccontata, una risentita alterità che accomuna, in Senzaterra, narratore e giovane protagonista; la presenza, ora più ora meno scoperta, della mafia e dei suoi tentacoli; la presenza costante di protagonisti ragazzi, che maturano un sentimento scontroso, quando non di aperta ribellione, verso la realtà in cui crescono e da cui vorrebbero affrancarsi.
Di suo personale, con questo romanzo, Santangelo ha il merito di raccontare, per mezzo di una reinvenzione linguistica, un tema civile, quello in particolare dei naufragi e degli sbarchi dei migranti: la più grande tragedia che, da anni, si consuma sotto i nostri occhi, nell'indifferenza dei più (quando non incontra ostentate e muscolari dimostrazioni di forza).
Marcello D'Alessandra
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