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Il linguaggio è la culla della teoria. Lo afferma Luigi Borzacchini, mentre racconta una storia. Anzì, più storie, che si intersecano in vario modo, dando origine a diversi intrecci di relazioni, dal colore cangiante secondo l’inclinazione dello sguardo. Dell’algebra, e della matematica in generale, si può parlare al meglio in forma narrativa, come si addice a tutte le cose vive. Anche la cosiddetta scienza dei numeri, al pari di ognuno di noi, abita il presente progettando il futuro, nel quale, alla luce della multiforme esperienza del passato, non può che vedere un variegato dominio di possibilità. Sì, perché anche la matematica sceglie: ogni sua ramificazione si dà un nome, inventa parole e simboli per esprimere i propri concetti, decide quale uso farne. È inoltre libera di associarli ad oggetti del mondo fisico o dell’umano universo mentale. La sua parte tangibile, tramite la quale essa rivela la sua esistenza e trasmette il suo messaggio attraverso lo spazio e il tempo, è un regno di segni: cenni indicatori di idee oppure veri e propri strumenti da manipolare, in base a regole aritmetiche, combinatorie, logiche. La semantica e la sintassi, la sostanza e la forma sono le due anime degli enti matematici che, in questo avventuroso viaggio, dall’antichità babilonese all’era digitale, giocano a unirsi e a separarsi senza che mai si perda il filo del discorso. Come in un lungo serial televisivo, quel che conta è l’emozione contenuta nel singolo episodio: la situazione in cui un pensiero si materializza, e(s)ternandosi in una traccia scritta. Nasce così il brano del copione che documenterà, per sempre, l’interpretazione della sua momentanea identità. Una tappa memorabile della sua movimentata e sorprendente biografia.
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