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Anno edizione: 2011
Anno edizione: 2008
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Ho letto ormai pressoché tutto della non trascurabile produzione di Guido Cervo, autore di romanzi ambientati in epoche diverse, opere di cui sempre ho potuto apprezzare la fondatezza storica e l’assenza di eccessi nella creatività, sia per quanto concerne i personaggi realmente vissuti, sia per quanto riguarda quelli frutto esclusivamente di fantasia. In questo libro, Il segno di Attila, si occupa della guerra fra unni e romani, in piena decadenza dell’impero che ha già subito parecchie invasioni barbariche e che addirittura nel 455 ha patito il sacco di Roma da parte dei vandali di Genserico, allorché la città non era più da tempo capitale dell’impero, essendo divenuta tale nel 402 Ravenna, dove Onorio trasferì la sua corte per le maggiori capacità di difesa offerte dal nuovo insediamento. In effetti, l’occidente romano sembrava diventato facile terreno di conquista, consentendo a barbari provenienti dal Nord e dall’Est di erodere piano piano i territori che erano stati parte dell’impero. Una minaccia particolarmente pericolosa veniva dagli Unni, il cui re Attila si era messo in testa di occupare la Gallia, desideroso di impalmare Onoria, sorella dell’imperatore Valentiniano III, in ciò spronato da un desiderio espresso dalla stessa di essere liberata dall’ambiente oppressivo di corte. Attila di certo equivocò, perché a Onoria non era mai passata per la mente l’idea di unirsi in matrimonio con il potente re degli Unni. Agli inizi della guerra i feroci Unni dilagarono in Gallia, ma poi si trovarono di fronte il magister militum Flavio Ezio, che riuscì ad avere come alleati i visigoti e altre tribù germaniche. Lo scontro avvenne il 20 giugno del 451 ai campi Catalaunici e la vittoria arrise ai romani, ma Flavio Ezio evitò di ottenere un risultato schiacciante, nel timore che l’annientamento degli Unni potesse di fatto rafforzare notevolmente i Visigoti. Fu un errore gravissimo, perché l’anno dopo Attila rivolse le sue mire sull’Italia.
se avesse avuto 200 pagine in meno sarebbe stato un bel libro ma purtroppo così non è, troppo troppo lungo la battaglia dei campi catalaunici viene descritta soltanto nelle ultime 70 pagine!! io capisco che si deve creare l'atmosfera e si vuole descrivere cosa ha portato ad essa ma qui si esagera 520 pagine infarcite di inutili personaggi (frediana) e aneddoti altrettanto inutili (una su tutti la vicenda del prete arrosto) che delusione
bello,mi è piaciuto molto, entusiasmante la battaglia finale, mi sono emozionato quando il tanto bistrattato schieramento dei Bagaudi, riesce a mettere in fuga l'esercito degli unni. Mi sono ricreduto su Cervo, ( il legato romano non mi era piaciuto).
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