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Il testo di Strocchi-Guerra-Lovito invita a riflettere su quel confine molto sottile tra la violenza fisica, che è palese, documentabile e lascia traccia sui corpi, per cui è facilmente denunciabile, punibile e, quindi, condannabile, e la violenza psicologica, verbale, purtroppo non evidente. Spesso quest’ultimo tipo di violenza impalpabile si perde nei meandri delle testimonianze opposte e contraddittorie, di parole dette perché inveterate in una cultura radicata nel tempo che fu. Si tratta di parole che si perdono nel vento, ma che fanno tanto male all’anima e generano ferite insanabili nelle relazioni umane, tra cui anche quelle che si presumono fondate sull’amore. È impressionante constatare con le autrici del libro in questione quante distorsioni culturali ed emotive possano inficiare la felicità di coppia. È assurdo venire a sapere, anche attraverso le narrazioni cliniche che corredano il volume, quanto siano determinanti l’ipoteca culturale e il retaggio familiare che permettono a determinate persone di ricadere negli stessi errori. Ciò che sorprende di questo lavoro, inoltre, è l’equidistanza tipica di professionisti ed esperti seri, ciò che manca in questi tempi pandemici e belligeranti che, invece, spingono a schierarsi pro o contro. Nelle storie d’amore tossico, come anche nelle guerre, ci sono, indubbiamente, vittime e carnefici, almeno in relazione agli effetti che tocca poi constatare, tuttavia: «L’intento del clinico non è quello di demonizzare il dominatore né di beatificare la vittima. Entrambi sono frutto di una dimensione relazionale che va indagata partendo dalla loro infanzia. Nessuno è mai completamente vittima e nessuno è totalmente carnefice» .
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