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recensione di Deidier, R., L'Indice 1998, n. 7
Se la storiografia letteraria ha privilegiato, nel tracciare linee, gruppi e tendenze, lo studio delle poetiche e dei generi, questa ricerca di Cristina Benussi sul romanzo italiano tra Otto e Novecento amplia la metodologia di riferimento, in funzione di una lettura anche antropologica degli sviluppi della nostra narrativa. Il romanzo non è più attraversato nelle sue coordinate prettamente letterarie, ma appare come un contenitore di tanti e differenti "modelli di realtà", retti da un referente mitologico che li condiziona nel loro stesso fondarsi. Qui i modelli principali sono tre, corrispondenti ad altrettanti ambienti: terra, mare, città, regni rispettivamente di Demetra, di Metis e di Astarte.
Il concetto di modello risponde a un criterio di lettura che vuole essere al contempo letterario ed extraletterario. Infatti ha una sua connotazione sia nell'antropologia (il "modello culturale" di Kroeber), sia nella nostra prosa recente (ad esempio il "modello deduttivo" dei racconti cosmicomici di Calvino). La modellizzazione è, di per sé, un'operazione classificatoria, che qui si spinge a una sorta di tassonomia, condotta sulla base di una differenziazione antropologica dei tre grandi ambienti che abbiano citato. Ma al di là di questo, attraverso alcuni dei maggiori autori dei due secoli a partire dai quali è possibile tentare una modellizzazione, la scrittura narrativa si offre come una delle più funzionali chiavi di lettura delle società in cui si ambienta. Genere pertanto "onnivoro", come giustamente sottolinea la studiosa, il romanzo prende corpo in ambiti che rispondono a spinte e necessità tutto sommato classificabili, pur nella ripetitività degli intrecci e dei temi: intrecci e temi che, pur percorrendo talvolta le trame narrative da un ambito all'altro, non cessano di identificare il modello culturale dal quale traggono l'ispirazione e soprattutto le strategie e le dinamiche del racconto.
Demetra, divinità terrestre e ctonia, legata anche al mondo infero, governa la costellazione degli scrittori "di terra", dove si ritrovano tra gli altri i nomi di Manzoni, Nievo, Verga, Gadda, fino ad alcuni neorealisti. Il rapporto tra umano e vegetale qui si evidenzia anche dal punto di vista socio-economico: il ciclo biologico della riproduzione e della rinascita, della fecondità e della nutrizione non può sottrarsi alla dialettica con il suo opposto, ovvero quello della distruzione, della morte, del sacrificio. Ne deriva che l'eros è presente, più o meno esplicitamente, come uno dei grandi motori dell'intreccio dell'opera "di terra". L'equilibrio tra distruzione e rinascita diviene stabilità e mantenimento dell'istituzione patriarcale, ma nello spazio tra vita e morte la dimensione del sacro gioca un ruolo assoluto, sia come riferimento fideistico sia come presenza del destino. "Provvedimento" è infatti il termine di identificazione di questa dimensione, termine che si ripete in autori di estrazione e formazione sicuramente diverse tra loro. Il sacro è ciò che consente di contestualizzare e giustificare le tensioni tra bene e male, tra necessità e morale, tra riscatto sociale ed evoluzione graduale: più in particolare il sacro è il luogo di ricomposizione di ogni contrasto e di riaffermazione dei valori della tradizione.
Il polimorfismo di Metis ben individua il carattere di inesausta quest degli scrittori "di mare". Rispetto alla relativa solidità dell'economia di terra, la società costiera è costretta ad affidare all'elemento acquatico la propria sopravvivenza, scontrandosi con le sue intemperanze meteorologiche ma anche con il grande capitale simbolico che l'immaginario marino ha acquisito nei secoli. Foscolo, Svevo, Pirandello, Calvino e Vittorini sono classificabili all'interno di questa costellazione, dove ragione e natura, teoria e prassi, passione e realtà sono chiamate alla verità del loro affrontarsi.
Astarte, nei cui templi si esercitava la prostituzione sacra, è chiamata invece a identificare i rapporti commerciali, gli scambi puramente economici che animano la costituzione e lo sviluppo della grande città, avviatosi più lentamente in Italia verso l'industria. Ritroviamo qui scrittori come De Marchi, Marinetti, Bontempelli, Buzzati e Moravia, maestri nel delineare i tratti delle pulsioni, spesso violente e fraudolente, da cui il personaggio urbano è attraversato nelle sue artificiose relazioni. Nascita, amore e morte sembrano perdere il loro valore simbolico: il cittadino non è più chiamato a confrontarsi con il mito, con la norma divina, ma si muove in una concretezza che confina con l'alienazione (lo choc che era stato di Baudelaire), quindi con l'antidoto del sogno.
Cristina Benussi ha congedato un libro in cui il sostrato mitico dei modelli culturali esaminati si lascia cogliere nella sua vitalità quotidiana. Il mito è anche alla base di una struttura economica, il cui riflesso narrativo evidenzia le uguaglianze e le ripetizioni di tre sistemi ritualistici, destinati a divenire un grande serbatoio di motivi e azioni romanzesche, almeno fino ai nostri anni sessanta.
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