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Questa raccolta di interventi non è solo un omaggio all'energico direttore e, in seguito, presidente dell'Istituto storico della Resistenza in Toscana. Come si evince dagli scritti che l'accompagnano (di Ivano Tognarini, Paolo Bagnoli, Zeffiro Ciuffoletti e Giorgio Spini), è una silloge che ben si presta a restituire di Francovich un ritratto vivo e a far ascoltare ancora la calamitante attrattiva della sua lezione. Non certo per farla accettare in tutte le sue argomentazioni o adottarla come schema interpretativo tuttora valido in ogni sua parte. Qui parla uno storico-partigiano, nell'accezione più alta: del resto Francovich, che Spini amava definire un "gentiluomo mitteleuropeo", anche per le origini fiumane e per l'incidenza che la cultura tedesca aveva avuto nella sua formazione, non nascose la passione militante dei suoi articoli, spesso ospitati su "Il Ponte" di Calamandrei o in atti oggi di difficile reperimento. Una delle sezioni da rileggere con curiosità è quella dedicata all'esecuzione di Giovanni Gentile, caso al centro di infervorate controversie. Francovich era convinto che l'atto potesse essere attribuito alla parte più estremistica del feroce fascismo fiorentino, e cercò di appoggiare con sottili argomentazioni deduttive la sua tesi. Oggi sappiamo che non regge, anche se al riguardo una versione compiuta è tuttora da scrivere. Il contributo più evidente di Francovich sta nell'insistenza sulla dimensione europea della Resistenza, spesso sacrificata a un uso propagandistico di taglio nazionale. In una relazione del 1980, rivendicò con fierezza, a petto della conclamata egemonia comunista, il ruolo del variegato azionismo di ascendenza liberalsocialista, di "una forza nuova, laica e democratica, inferiore di numero, ma non seconda nella volontà di lotta e nella capacità di sacrificio". Roberto Barzanti
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