L’articolo è stato aggiunto alla lista dei desideri
IBS.it, l'altro eCommerce
Cliccando su “Conferma” dichiari che il contenuto da te inserito è conforme alle Condizioni Generali d’Uso del Sito ed alle Linee Guida sui Contenuti Vietati. Puoi rileggere e modificare e successivamente confermare il tuo contenuto. Tra poche ore lo troverai online (in caso contrario verifica la conformità del contenuto alle policy del Sito).
Grazie per la tua recensione!
Tra poche ore la vedrai online (in caso contrario verifica la conformità del testo alle nostre linee guida). Dopo la pubblicazione per te +4 punti
Tutti i formati ed edizioni
recensione di Cuozzo, G., L'Indice 1996, n. 2
I quattro saggi qui raccolti, scritti tra il '40 e il '60, sono dedicati da Löwith, rifugiato in Giappone tra il 1936 e il 1941, all'esame della cultura e della mentalità giapponese nel suo confronto con l'Occidente. Non si tratta di un confronto dettato in primo luogo da un interesse autentico per ciò che è peculiare della civiltà giapponese, ma di un approfondimento critico dei caratteri dello spirito europeo attraverso il riferimento a ciò che gli è più estraneo e lontano, l'Estremo Oriente: "Per comprendere appieno e criticamente noi stessi, alcuni anni in Estremo Oriente sono più che necessari". Proprio in questa volontà di sapere che misura e mette in rapporto se stessi con l'altro, permettendo un "confronto 'con' e una distinzione 'da'", si manifesta secondo Löwith uno dei caratteri distintivi della cultura occidentale: si tratta dello spirito critico, "uno spirito che sa distinguere, confrontare e decidere", capace di tornare a se stesso a partire dall'altro. A confronto con lo spirito europeo, i giapponesi "non sono - come direbbe Hegel - 'presso se stessi nell'altro da sé'"; "in fondo, si amano come sono, non hanno ancora mangiato dall'albero (cristiano) della conoscenza e non hanno perduto l'innocenza, quella perdita che strappa l'uomo da sé e lo rende critico verso se stesso".
L'esperienza giapponese löwithiana, vero e proprio movimento spirituale di "estraniazione" ricalcato sul concetto hegeliano di Bildung, è finalizzata a "una giustificazione dell'autocritica europea e una critica dell'amor proprio giapponese". L'autocritica concerne l'assimilazione dell'antico e del nuovo nella stessa Europa moderna, vale a dire la sintesi dell'antica cultura greco-cristiana e delle conquiste moderne della civiltà occidentale. A tal fine il Giappone è un campo di osservazione privilegiato, in quanto qui il vecchio e il nuovo hanno dato vita a una paradossale sintesi esplosiva, una vera e propria "contraddizione in termini", atta a mettere in luce i paradossi intrinseci alla cultura occidentale odierna. In Giappone, infatti, tutto ciò che è moderno non è stato sviluppato originariamente sulla base dei presupposti culturali di una tradizione autoctona, come è accaduto in Occidente con la "metafisica della volontà" di ascendenza cristiana che sta alla base del pensiero tecnico-obiettivante; esso piuttosto è stato immediatamente importato dall'Occidente "come un risultato bell'e pronto".
Si tratta dunque di una mera assimilazione esteriore: "Ciò che il Giappone ha preso da noi non è stato... il fondamento morale, religioso o dottrinario, bensì, in primo luogo, la nostra civiltà materiale: l'industria e la tecnica moderne, il capitalismo, il diritto borghese, l'organizzazione dell'esercito e i metodi del lavoro scientifico". Ma, nonostante il carattere esteriore di questa occidentalizzazione, "non si deve però disconoscere la sua pervasività. La civiltà europea non è un abito di cui ci si possa all'occorrenza vestire e poi, di nuovo, spogliare, ma ha l'inquietante potere di conferire la propria forma all'anima e al corpo che di essa si riveste". Infatti, "le conquiste moderne della civiltà occidentale non costituiscono un mero mezzo per un fine qualsiasi, ma condizionano la vita e la convivenza degli uomini e dei popoli" in generale, essendo la distruzione dei fondamenti religiosi, morali e sociali antichi prodotta dalla tecnica "una conseguenza inevitabile che nessun processo di civilizzazione può ignorare".
Ora, se il "Giappone moderno" è una contraddizione in termini, "il fatto che, in singoli casi, la contrapposizione fra vecchio e nuovo abbia trovato un accordo felice e abbia raggiunto un compromesso esteticamente e moralmente accettabile anche per l'Europa, non fa che confermare questa regola". Il pensiero calcolante, la manipolazione tecnica che ne deriva e la sua onnipervasività hanno di fatto distrutto l'antico orizzonte di valori nella vecchia Europa cristiana: in Occidente, come in Giappone, "accade lo stesso fenomeno oggigiorno. La 'Propaganda fidei' dispone la ripresa in San Pietro delle funzioni sacre con telecamere e collegamenti radio, come se la tecnologia moderna fosse neutra, un mezzo buono a qualsiasi scopo e non una potenza in sé, capace di mettere tutto al suo servizio".
Secondo Löwith nell'incontro tra tecnologia occidentale e tradizioni giapponesi la prima svuoterà necessariamente le seconde. Ciò appare troppo pessimistico a Gianni Carchia che proprio nel sincretismo moderno della società e della cultura giapponese sembra scorgere la possibilità di una "identità fluida", cioè di un soggetto aperto, capace di trasformarsi e di costituirsi attraverso l'apporto di tradizioni differenti.
L'articolo è stato aggiunto al carrello
L’articolo è stato aggiunto alla lista dei desideri
Siamo spiacenti si è verificato un errore imprevisto, la preghiamo di riprovare.
Verrai avvisato via email sulle novità di Nome Autore