Diventare scrittori, dice Paul Auster, significa essere scelti, e non aver piú scelta. Da quel momento il tempo si divide tra ciò che si fa per «sbarcare il lunario» e lo spazio prezioso che, di sera o nei fine settimana, si riesce a dedicare alla scrittura. Ricostruendo il suo difficile ambiguo rapporto con il denaro dall'adolescenza alla maturità, Auster affida a queste pagine una parziale autobiografia. Seguiamo dunque il piccolo Paul che come ogni bravo bambino americano, si offre per spalare la neve dal vialetto dei vicini, e attraverso molte avventure, degne (inaspettatamente) di un vero cultore della «scuola della strada», naviga su una petroliera, fa il centralinista nella sede parigina del «New York Times» o il ghost writer per una ricca americana in Messico. Tutte professioni senza domani, che però lo arricchiscono di storie e personaggi. Durante l'Università, poi, a battezzare nel segno del fallimento la sua nascente attività letteraria, Auster indice tra i suoi compagni un premio per il Re dei falliti, cioè per colui che è capace di un crollo monumentale, di un atto gargantuesco di autosabotaggio. )
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