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Anno edizione: 2019
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Giuda, come è noto, tradì Gesù indicandolo ai centurioni con un bacio, la massima espressione di amore e fedeltà. Un bacio tenero, dolce, mite, al chiaro di luna per giunta, può esistere aberrazione maggiore e antitetica per un tradimento? Baciare per tradire, c’è chi lo fa spesso, e volentieri. “Sangue di Giuda” di Milvia Comastri, in estrema sintesi, né più né meno ci parla di tutto questo appena detto, si racconta qui di donne tradite, ingannate con un bacio, illuse e deluse, circuite e violate, in nome dell’amore o presunto tale, da qui il vituperio cantilenante per molte pagine. Il libro descrive un percorso comunque duro, difficile, irto di ostacoli per ognuna delle quattro protagoniste, il loro Calvario innanzitutto perché donne. Milvia Comastri tutto quanto lo racconta bene, con prosa semplice e chiara, fluente, limpida ed incisiva: avvince il lettore, lo inchioda alle pagine, alterna capitoli, pensieri e azioni tutte perfettamente coordinate tra loro. srotolando un gomitolo di ricordi lineare, senza strappi, senza nodi, un filo robusto che non è, o non è solo, parentale. Il romanzo d’esordio della scrittrice bolognese altro non è che un riportare il dettato di una donna e di tante donne, e ancor di più, quello che le donne non dicono. Che non dicono perché a lungo, troppo a lungo, sono state ostacolate, interdette, diffidate a dirlo: oppure ingannate con un bacio, vessate con i complessi di colpa, i ricatti morali e quanto altro di infido hanno saputo inventare. “Sangue di Giuda” è esattamente questo, una storia di muri che poi diventano ponti. Francamente, non tutti gli uomini sono farisei, vivaddio i più sono brave persone: in effetti, l’unico a tradire è stato Giuda, ma gli altri undici si comportarono bene, dopotutto. C’è speranza per l’umanità, allora, se solo siamo uniti finalmente tutti insieme, uomini e donne, naturalmente sullo stesso piano, con pari dignità, e sarebbe pure ora, sangue di Giuda!
Questo libro parla di quattro persone di sesso femminile, strettamente imparentate, che risiedono nella stessa abitazione, ma quasi come estranee, perché nel tempo si è accumulata una indifferenza che a poco a poco è diventata rancore e che ha fatto sì che pur così vicine diventassero così lontane. Abbiamo così modo di conoscere Celeste, la più anziana, che da da anni non esce e sta rintanata in casa e la cui vita sembra imperniata su quei tre pacchetti giornalieri di sigarette di cui non riesce a farne a meno e la cui unica preoccupazione è la nipotina Mira, a parte la litania di una continua imprecazione, quel Sangue di Giuda che dà il titolo all’opera; poi c’è una donna a cui la vita sembra aver negato tutto o quasi e che risponde al nome di Assunta, figlia di Celeste; indi è presente, quando non in giro in cerca di una velleitaria scrittura, Nadia, la bella Nadia, altra figlia di Celeste e madre di Mira, una donna che senza sosta spera di sfondare nel mondo del cinema e che ha numerosi rapporti sessuali con uomini diversi, relazioni fugaci che illusoriamente scambia per amore, e infine l’adolescente Mira, che detesta il comportamento della madre, tutta tesa a prendere sul serio quello che serio non è e viceversa. Insomma direi che è un bel campionario di donne deluse, senza un futuro, fatta eccezione per la giovane Mira che comprende che l’unico modo per fuggire da quella ragnatela domestica è di andarsene, di fuggire. Una cosa è certa, il romanzo di esordio di Milvia Comastri, che fino a ora aveva pubblicato solo prose più brevi, è una rappresentazione intimistica di quella che dovrebbe essere una normale famiglia e non lo è, perché è evidente che non è il vivere sotto lo stesso tetto che fa un’autentica famiglia, e in questo senso sembra quasi rappresentare un’istituzione passata, con la sua storia particolare propria di certe saghe del secolo scorso.
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