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Un libro favoloso. Per chi interessa la storia dell'impero ottomano, dei balcani, delle minoranze, vale la pena di leggere questo libro, pieno di suoni e di profumi di un oriente sparito.
Recensioni
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L'argomento di questo volume è espresso esattamente dal titolo: sulla base di una varietà di fonti rintracciate in oltre vent'anni di ricerche, Mazower cerca di ricostruire le vicissitudini di una città passata "dal mondo ottomano multiconfessionale e straordinariamente poliglotta (all'epoca della prima guerra mondiale i lustrascarpe di Salonicco dovevano avere una conoscenza pratica di sei o sette lingue) al bastione etnicamente e linguisticamente omogeneo dello stato-nazione del XX secolo". Non a caso, il libro si concentra soprattutto sugli ultimi quaranta degli oltre cinquecento anni di storia affrontati, con il periodo successivo al 1912 che occupa da solo un terzo delle pagine.
La narrazione si apre con la conquista ottomana e la successiva immigrazione in città di un gran numero di ebrei espulsi dalla penisola iberica alla fine del XV secolo: sono questi, infatti, gli eventi che mutano la città bizantina e greco-ortodossa, pressoché distrutta nell'assedio del 1430, in un mosaico linguistico, culturale e religioso dominato da una comunità ebraica che faceva della città la capitale del mondo sefardita, e protagonista centrale di un racconto che dedica però la debita attenzione anche alle comunità di minoranza, come i ma'min, la cui vicenda inizia con la conversione dall'ebraismo all'islam nel XVII secolo e prosegue con la partecipazione al movimento dei Giovani turchi nel XIX per concludersi con l'espulsione dalla città insieme agli altri musulmani (che pure guardavano ai ma'min come a una setta eterodossa per il loro attaccamento a pratiche specificamente ebraiche), nel quadro dello scambio di popolazione greco-turco del 1922-23. Quest'evento, in seguito al quale i musulmani di Salonicco vennero rimpiazzati da profughi provenienti dall'Asia minore, viene identificato come lo spartiacque nel processo di ellenizzazione della città. Dopo di esso i greci divennero infatti l'assoluta maggioranza della popolazione in una città ingrandita dall'afflusso dei nuovi venuti e la stessa comunità ebraica fu sottoposta a forti pressioni assimilazioniste sia dall'interno che dall'esterno. Come noto, tuttavia, il suo destino si compì ad Auschwitz nel 1944; le proprietà degli ebrei furono accaparrate dai loro carnefici e in parte dalla popolazione cristiana della città, e ben poco rimase dei loro quartieri e monumenti: emblematica è in tal senso la vicenda del cimitero ebraico, sulle cui rovine sorge oggi il campus universitario.
Occorre rilevare che, mentre viene adeguatamente evidenziato il ruolo della città nella storia greca più recente, lo stesso non si può dire per quello che ha rivestito nella storia del movimento nazionalista turco (molti esponenti del quale, incluso Mustafà Kemal, erano originari di Salonicco). Inoltre, accettando sostanzialmente l'idea che il periodo ottomano sia stato caratterizzato da una convivenza tutto sommato armoniosa fra le diverse comunità linguistiche e religiose, Mazower perde l'occasione di ricercarvi le radici dei processi di "nazionalizzazione" su cui si concentra il suo interesse. Nondimeno, la sua opera resta una lettura interessante per lo specialista come per il lettore ordinario, fornendo un punto di vista su fenomeni rilevanti per la storia del XX secolo europeo.
Antonio Ferrara
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