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La serie di storie si sviluppano dal '300 al '500 attorno alla famiglia che venendo da Firenze sceglie Venezia come Patria e ambisce a servirla come mercanti, marinai, armatori e anche uomini d'arme. Tutto ruota attorno all'appartenenza alla città lagunare con le sue libertà e anche rigidità. Scrittura piacevole e grande varietà di temi affrontati, belle ambientazioni e ottimi dialoghi. Altro filo conduttore è quello dell'amore. Emblematico il finale dove un discendente sceglie di diventare Siciliano al servizio dell'impero Spagnolo.
Posso solo ipotizzare che Una saga veneziana sia frutto di ricerche approfondite effettuate a Venezia per conoscere un po’ l’origine della famiglia dell’autore; infatti, nel libro si parla di un Salvatore, mercante fiorentino, che si rifugia a Venezia nel primi decenni del XIV secolo, e darà vita a una famiglia (una vera e propria dinastia) di commercianti e di armatori. In tempi piuttosto rapidi ci sarà l’arricchimento di questa famiglia, il cui cognome, per adattamento al dialetto veneziano, che era la lingua della Serenissima, diventerà Salvador. Questo ceppo conoscerà le alterne fortune della vita, ma diventerà un riferimento nella Repubblica, imparentandosi con le maggiori famiglie patrizie. Gli anni, anzi i secoli passano, con un numero di personaggi che si affacciano sulla scena e che poi scompaiono, uomini e donne non scevri da difetti, ma con pregi che li caratterizzano e che soprattutto si traducono nella difesa del buon nome della famiglia. Troviamo, mercanti, ma anche armatori, uno addirittura ammiraglio dell’Arsenale, perfino un console a Palermo, tutti discendenti da quel Salvatore che trovò a Venezia una seconda patria, dopo la sua fuga da Firenze per motivi oscuri che diventeranno chiari alla sua morte. La mano dell’autore, come al solito, è felice, nel senso che non trascende mai, mantenendo un tono moderatamente distaccato, tanto più apprezzabile in questa circostanza, visto che parla dei suoi avi. Il romanzo è indubbiamente interessante e pertanto meritevole di lettura, spiace solo che ci si fermi al XVI secolo, tanto che viene da chiedersi: e dopo? Chissà che Salvador abbia pensato anche a questo dopo e questo è il mio augurio, ma anche la richiesta che rivolgo all’autore.
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