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Il romanzo è ambientato in una località di fantasia del litorale veneto con una finalità che però va oltre quella dell’indagine e della scoperta dell’assassino, presentando piuttosto degli intenti sociologici relativamente a un certo stato di degrado morale del ricco Nord-Est. Quindi, per porre in evidenza vizi privati e pubbliche virtù di una comunità, Fiorella Borin ha ideato una vicenda alla cui base ci sono i più bassi istinti sessuali, con la presenza di un giovane debosciato, figlio di papà, che approfitta di una ragazzina, non uccidendola, ma è come se lo facesse, del padre di questo sciagurato, ricco costruttore edile e anche più sciagurato del figlio, in quanto pedofilo e assassino, di un avvocato forse peggiore di entrambi, di testimoni ampiamente e facilmente corruttibili, di un’autorità giudiziaria alla quale la famosa frase “La legge è uguale per tutti” (che sintetizza il contenuto dell’art. 3 della nostra Costituzione) sembra del tutto sconosciuta. Questi che ho appena nominato sono i cattivi, mentre i buoni sono rappresentati dalla madre della ragazzina, da un donnone di comprovata fede comunista che pare una caricatura, da un anziano professore in pensione che sembra capire tutto ciò che si cela dietro il dramma e da un vendicatore dal passato non limpido e dal presente ancora fosco. Il tutto è è rappresentato da Fiorella Borin con il suo solito stile, con una scrittura snella, che ha il pregio dell’immediatezza, e con una caratterizzazione dei protagonisti nel complesso riuscita. Per essere il primo thriller non c’è da lamentarsi, anzi si lascia leggere volentieri e, soprattutto, incide come una lama di coltello con quel suo “j’accuse” non gridato, ma senz’altro sottinteso.
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